



Domenica 8 e lunedì 9 giugno i cittadini italiani aventi diritto al voto sono chiamati a partecipare ai referendum popolari abrogativi (articolo 75 della Costituzione) su 5 quesiti in materia di disciplina del lavoro e cittadinanza, ossia in sintesi:
- «Contratto di lavoro a tutele crescenti - Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»
- «Piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»
- «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»
- «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»
- «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana».
Sul tema della cittadinanza buona parte della politica è inerte da troppo tempo, vittima di rigidità ideologiche difficili da comprendere. Da decenni si parla di una riforma della legge del 1992, ma il Parlamento non è mai riuscito a farla. Già Il Presidente della Repubblica Napolitano diceva che era ormai matura nella società la consapevolezza, l'urgenza di un cambiamento, una riforma di questa legge; anche il presidente della Camera Fini sembrava andare nella stessa direzione, in una consapevolezza trasversale anche rispetto agli schieramenti politici. Poi però sono trascorse tre/quattro legislature, se consideriamo anche quella attuale, senza che in parlamento vi fossero i numeri e anche la volontà politica per portare avanti questa riforma, tant'è vero che il tema era anche un po' scomparso dall'agenda pubblica e mediatica. Poi c'è stato il momento delle Olimpiadi, con una enfasi mediatica, momenti di pathos e di emotività che contano molto nella vita (anche politica) e nella società di un paese. C'era la consapevolezza che buona parte degli atleti che hanno riempito di orgoglio gli italiani, gareggiando nelle varie discipline, erano di origine straniera o comunque con un background migratorio. Successivamente c'è stata l'uscita di Antonio Tajani, leader di Forza Italia e ministro degli Esteri, nonché vicepresidente del consiglio, sullo ius scholae, che ha portato almeno tre settimane di dibattito sui giornali.
La riforma della cittadinanza se la proposta referendaria venisse accolta determinerebbe quindi la riduzione del numero di anni di legale soggiorno nel nostro paese per poter chiedere la cittadinanza, passando da 10 a 5 anni. La Germania ha fatto una riforma analoga di recente passando da 8 a 5 anni, in alcuni casi in realtà 3 anni: è anche una riforma positiva, che avvicinerebbe rispetto alle democrazie più avanzate in Europa.
Accorciare i tempi di accesso alla cittadinanza significa accorciare le distanze fra le persone e i loro diritti di base. Significa, soprattutto nel caso dei più giovani, far crescere il senso di appartenenza a una comunità e di conseguenza il sentimento di adesione alle sue regole. È dal godimento dei diritti che nasce la consapevolezza dei doveri, non il contrario! Se mi sento accolto e riconosciuto dalla collettività, messo in condizione di dare un contributo al suo sviluppo attraverso i miei talenti, non mi tirerò indietro. Se invece mi vedo trattato diversamente dagli altri, sottoposto a lunghe attese e mille ostacoli per raggiungere i medesimi traguardi, come si potranno pretendere da me la stessa lealtà e lo stesso impegno? Quando vedono una disparità di trattamento da parte degli adulti, fra i bambini scattano le discriminazioni e i conflitti, c’è chi si sente superiore e chi soffre perché invece viene messo da parte.
Il tema della cittadinanza, e parallelamente dell'immigrazione, dell'accoglienza, dell'inclusione, sono stati probabilmente i temi più utilizzati strumentalmente nella propaganda politica, più o meno a partire da dieci anni fa. La narrazione che riceve mediaticamente la maggior parte dei cittadini non si poggia sulla realtà dei dati e dei numeri: nel nostro paese l'8% della popolazione, più di 5 milioni di persone, sono cittadini stranieri legalmente residenti, contribuenti, che mandano i figli a scuola. Sono parte integrante non del futuro dell'Italia, ma già del presente. Fa molto più parte della consapevolezza il reato commesso dal cittadino straniero regolare o irregolare, ma non fa altrettanto notizia il cittadino straniero che salva la persona che sta subendo un'aggressione da parte di un altro cittadino italiano. La narrazione è a senso unico. Tutto il discorso pubblico è avvelenato, inquinato, e questo modo di discutere non fa bene al futuro del paese. Le grandi democrazie nell'Europa hanno più volte modificato la propria legge sulla cittadinanza: consentire a persone di origine straniera che vivono, nascono in Italia, sono cresciute in Italia, studiano in Italia non significa solo fare qualcosa per loro, che aspettano e sperano di avere la cittadinanza, ma significa anche dare un futuro al nostro paese.
Qualcuno vuole pensare di tenere in una condizione di non cittadinanza persone che sono in Italia da molti anni, che sono nati in Italia, che sono cresciuti in Italia, o che hanno deciso di stabilirsi nel nostro paese, sono contribuenti, regolarmente soggiornanti qui, mandano i loro figli a scuola, pagano le tasse, parlano correntemente la nostra lingua e spesso anche i dialetti regionali. Non devono poter votare? È un atto di grande ingiustizia. Inoltre, stiamo privando il paese di energie vitali e di risorse importantissime: ragazze e ragazzi che sono laureati e fanno il dottorato di ricerca in Italia, non avendo la cittadinanza non possono partecipare a un concorso pubblico. È un fatto ideologico di non aggiornamento di una legge.
Il futuro stesso del nostro paese è a rischio. Viviamo un inverno demografico drammatico, con delle proiezioni che sono spaventose. Il referendum è il primo passo di una riforma complessiva della legge sulla cittadinanza che riguarda il futuro del paese. Non si capisce perché dovremmo avere paura di rendere cittadini italiani chi già è in Italia e chi conosce solo l'Italia come proprio paese. È autolesionista, non c'è un'altra parola per descriverlo.
La soluzione più confacente alle esigenze del paese sarebbe uno ius soli temperato, con i requisiti legati anche al legale soggiorno dei genitori. Con il referendum non è possibile realizzarlo perché interverrebbe solo in maniera abrogativa, ma questo può rappresentare un primo passo per una riforma più grande.
Continuiamo ad auspicare che questo tipo di riforma diventi presto realtà! Ma nel frattempo ci sono centinaia di migliaia di vite che non possono restare ostaggio delle divisioni e delle arretratezze culturali di certa politica. Perciò è importante che chi ha davvero a cuore l’inclusione e l’universalità dei diritti firmi subito la proposta di referendum e si spenda per farla conoscere.
Roberto Merico
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