È ripartito l’iter del ddl sicurezza. Dopo l’approvazione a settembre alla Camera, è ora in esame al Senato. Introduzione di nuovi reati, inasprimento delle pene, repressione del dissenso: è un provvedimento “corposo”, 38 articoli, che ha sollevato non solo critiche, ma un vero allarme democratico. Ne parliamo con Andrea Giorgis, capogruppo Pd in Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, e professore di diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Torino.
Si è parlato di panpenalismo e di matrice securitaria e illiberale: cosa c’è in questo provvedimento e qual è il progetto, l’obiettivo che lo sostiene?
Ci sono molti nuovi reati, molte nuove circostante aggravanti e innalzamenti di pena, una significativa estensione della carcerazione, l’autorizzazione agli agenti di pubblica sicurezza a detenere e a portare senza licenza armi anche quando non sono in servizio, ma non c’è nessun investimento sulla prevenzione, sulla rigenerazione urbana, sulle marginalità sociali, sulle condizioni degli istituti penitenziari e sulla funzione rieducativa della pena, o sulle condizioni di lavoro del personale delle forze di pubblica sicurezza.
È insomma un disegno di legge che cerca di affrontare alcune questioni di indubbia rilevanza sociale (basti pensare all’emergenza abitativa, alla situazione carceraria o alla diffusa microcriminalità sui mezzi di trasporto o in diverse aree critiche delle città) attraverso la sola prospettiva repressiva, spingendosi a punire anche condotte che costituiscono, più che una minaccia alla libertà e alla sicurezza dei cittadini, forme di manifestazione del dissenso o di reazione, non violenta, a condizioni di particolare degrado.
A questa prospettiva ci siamo opposti e continueremo a opporci con determinazione, perché non garantirà ai cittadini alcuna sicurezza, ma toglierà loro solo qualche libertà.
La repressione del dissenso è uno degli aspetti più criticati di questo ddl, anche se esercitato in forma non violenta. Sono così pericolose le proteste?
Gran parte delle disposizioni manifesta un tratto politico e culturale che è tipico dell’azione di questo Governo, e che si potrebbe sintetizzare nell’avversione al pluralismo e alle manifestazioni del dissenso che esso presuppone e garantisce, in nome di una omogeneità e di un ordine “ideali” che la maggioranza, in quanto maggioranza, pretende di avere il diritto di imporre, superando, se necessario, ogni limite posto dalla Costituzione o dal diritto europeo.
Ciò è particolarmente evidente nell’art.14 che introduce il reato di “blocco stradale” e punisce con la reclusione chi impedisce la circolazione, stradale o ferroviaria, anche solo con il proprio corpo, attraverso comportamenti non violenti, come spesso accade in occasione di scioperi o cortei di protesta. Ma emerge anche dall’irragionevole previsione contenuta negli articoli 26 e 27 che riconducono le condotte di resistenza passiva (come ad esempio il rifiuto non violento di rientrare in cella o l’astensione dal cibo) nell’ambito del delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario (art.26) o di un CPR (art.27), equiparando tali condotte a quelle di chi partecipa alla rivolta “mediante atti di violenza o minaccia”. E ancora dalle disposizioni che introducono una serie di aggravanti (prevalenti su eventuali attenuanti) al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, tra cui quella che punisce più severamente il fatto se commesso al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica; o dalla disposizione di cui all’art.20 che introduce una nuova fattispecie di reato di lesioni personali a un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni.
L’introduzione di nuovi reati e l’aumento delle pene rischia di aggravare ulteriormente il problema del sovraffollamento delle carceri ? O ci sono soluzioni alternative alla detenzione e investimenti per ricondurre l’esecuzione della pena nei binari prescritti dalla Costituzione?
Purtroppo non c’è alcun investimento, né sul personale, che continua a essere carente, né sulle strutture che necessitano di serie manutenzioni e ristrutturazioni, né vi è alcuna nuova misura alternativa al carcere, neanche quelle sperimentate con successo durante la pandemia, e non vi è neppure traccia di un qualche investimento per garantire l’accesso a quelle esistenti da parte di tutti coloro che ne avrebbero diritto. Basti considerare che attualmente sono detenute in carcere più di 1500 persone che scontano una pena definitiva inferiore a un anno e che tra di esse più di 700 sono persone che non hanno un domicilio. Vi è invece una limitazione dell’istituto del differimento pena per le donne incinte o madri di prole di età inferiore ai tre anni, che finirà quasi inevitabilmente per comprimere l’interesse preminente del minore, specie in un contesto nel quale vi sono solo 4 Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri (a Torino, Milano, Venezia e Lauro) e molte madri e i figli, a cui non verrà concesso il differimento della pena, verranno anche allontanati dai luoghi dei propri legami familiari.
Il sovraffollamento, com’è noto, ha raggiunto livelli insostenibili e con questo ddl rischia solo di crescere ulteriormente, e con esso il disagio e la sofferenza dei ristretti e l’insicurezza dei cittadini liberi. I direttori, gli agenti e il personale amministrativo e del trattamento per quanto diano quotidianamente prova di grande dedizione e professionalità, non sono messi nelle condizioni di poter garantire un’esecuzione della pena conforme ai precetti costituzionali e in grado di offrire ai detenuti un’opportunità di crescita e reinserimento sociale: e ciò solleva (anche) una questione di sicurezza dei cittadini liberi. Perché, come dimostrano tutti gli studi condotti sul tema, laddove l’esecuzione della pena è in grado di offrire una possibilità di reinserimento e “rieducazione” i tassi di recidiva diminuiscono in maniera significativa. Mentre laddove la pena è mera privazione della libertà, scontata in condizioni di degrado, i tassi di recidiva crescono. E comunque, prima di introdurre nuove fattispecie incriminatrici o inasprimenti delle pene detentive occorrerebbe riflettere sul dato crescente e allarmante dei suicidi, dall’inizio dell’anno si sono tolte la vita ben 84 persone detenute: una tragedia umana e una sconfitta delle istituzioni a cui non ci si può rassegnare.
Alcune norme sono dedicate a dei gruppi in particolare: come al solito i migranti, ma anche gli attivisti climatici. Si parla di cattivismo, ma forse siamo in un altro territorio. A che serve tanto accanimento?
A nulla, e di sicuro non serve a garantire quella sicurezza che è invece necessario garantire a ogni persona affinché possa esercitare i propri fondamentali diritti di libertà e di partecipazione, individuale e collettiva.
Una politica dell’immigrazione che conosce solo la dimensione repressiva e l’ampliamento e la realizzazione di nuovi CPR, è una politica che aumenta solo la sofferenza, la paura e l’esclusione sociale, non certo la sicurezza di qualcuno. L’irragionevolezza e la disumanità delle disposizioni che hanno prolungato i tempi di trattenimento e quelle che ora si limitano a criminalizzare qualsiasi forma di resistenza, anche passiva e non violenta, all’interno dei CPR, sono evidenti; così come l’irragionevolezza della disposizione che impedisce allo straniero che non ha, o non ha ancora, il permesso di soggiorno di acquistare una carta SIM. Quali benefici possa portare alla sicurezza collettiva un simile indiscriminato divieto è infatti piuttosto difficile da capire. Mentre è evidente la limitazione che esso comporta all’esercizio di diritti fondamentali, come la libertà di comunicazione e i diritti che da essa possono dipendere, basti pensare alla necessità di contattare con urgenza un medico. Così come è abbastanza evidente il rischio che un simile divieto finisca con il favorire un commercio occulto di schede telefoniche, che non contribuisce certo alla identificazione degli utilizzatori.
La maggioranza, anche stavolta, non sembra essere così graniticamente compatta su diversi articoli, ma alla Camera abbiamo assistito a una certa accelerazione alla fine dell’estate: sarà possibile al Senato aprire una discussione adeguata e modificare il testo?
Temo che sia difficile, anche se necessario. La maggioranza fino ad ora è rimasta silente e non ha fornito alcuna risposta alle tante critiche e perplessità che sono state sollevate anche dalle Camere penali, da magistrati, professori, associazioni e dai sindacati generali e di categoria. Noi, facendo tesoro di tali contributi, abbiamo presentato diversi emendamenti e faremo di tutto per superare le criticità su descritte e le molte altre emerse durante le audizioni, a partire dalla sproporzione, dalla rigidità e dalla irragionevolezza delle diverse sanzioni penali, e dalla mancanza di qualsiasi intervento “sociale” e di prevenzione.
Abbiamo inoltre proposto di stralciare alcune disposizioni di difficile interpretazione che incidono su materie particolarmente complesse e delicate e che meriterebbero ben altra discussione e approfondimento, come ad esempio quelle contenute nell’art 31 che prevedono un incremento dei poteri dei servizi di sicurezza che parrebbe incidere anche nei confronti dell’autorità giudiziaria e di alcune sue prerogative.
E poi naturalmente abbiamo proposto di sopprimere o di riscrivere radicalmente quelle disposizioni, del tutto eterogenee e prive di qualsiasi giustificazione, che vietano l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, la spedizione e la consegna della canapa industriale, mettendo così a rischio una filiera agroalimentare innovativa e di eccellenza che occupa in Italia più di 15 mila persone.
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