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Lorena Cesarini: monologo sul razzismo a Sanremo


Lorena Cesarini: monologo sul razzismo a Sanremo
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"A 34 anni scopro che non è vero che sono una ragazza italiana come tante, io resto nera.

Ma mi è rimasta una domanda: perchè?

Perchè c'è della gente che ha un problema con il mio colore della pelle?"

L’attrice colpisce e commuove con le sue parole sul razzismo e sull’odio social: «Hanno scritto : a Sanremo per lavare le scale e annaffiare i fiori»

Nata a Dakar e cresciuta a Roma da mamma senegalese e papà italiano, laureata in storia contemporanea, Lorena Cesarini, co-conduttrice della seconda serata del Festival di Sanremo, ha colpito, nel corso della seconda serata della manifestazione, il pubblico dell’Ariston e gli italiani che la seguivano da casa con il suo toccante monologo sul razzismo e sull’odio social, durante il quale ha versato lacrime silenziose. Prima di diventare un’attrice, Cesarini ha lavorato all’Archivio Centrale di Stato. Poi ha continuato a studiare recitazione e, ha spiegato sul palco, «per fortuna è diventato il mio lavoro: sono un’attrice. Una vita tranquilla come quella di tante ragazze italiane. Poi succede una cosa bellissima: Ama (Amadeus) annuncia al Tg1 i nomi delle partner che lo accompagneranno al Festival di quest’anno e che, nel corso della seconda serata ci sarà una certa Lorena Cesarini».

«Però — prosegue la giovane co-conduttrice —, succede anche che subito dopo questo annuncio, scopro che a 34 anni non è vero che sono una ragazza italiana come tante, io resto nera. Fino a oggi a scuola, all’università, al lavoro, sul tram anche, nessuno aveva mai sentito l’urgenza di dirmelo. E invece, appena Ama dà questa notizia, per me splendida, hanno sentito l’urgenza di farmelo sapere. Evidentemente per qualcuno il colore della mia pelle è un problema. Al punto che bisognava farlo sapere a tutti. Vi leggo alcune frasi che sono uscite sui social: “Non se lo merita, l’hanno chiamata lì perché è nera”; “È arrivata l’extracomunitaria!”; “Forse l’hanno chiamata per lavare le scale e per innaffiare i fiori”».

«A parte che lavare le scale è un lavoro come tanti e non ci trovo assolutamente nulla di svilente — prosegue l’attrice —, però un pochino, all’inizio, ci sono rimasta male, poi mi sono anche arrabbiata, poi mi è passata, ma mi è rimasta dentro una domanda: perché? Perché c’è chi sente la necessità di sfogare il suo odio sui social? Perché c’è chi si indigna per la mia presenza su questo palco, perché c’è gente che ha problema con il mio colore della pelle?»

«Non sono qui per darvi una lezione, non ne sarei neanche capace», sottolinea la giovane che legge poi, tra le lacrime, un passo dal libro «Il razzismo spiegato a mia figlia» (Bompiani, 2005) dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun. Mérième, 10 anni, chiede al padre «Babbo, che cos’è il razzismo?». E lui risponde: «Tra le cose che ci sono al mondo il razzismo è la meglio distribuita. È un comportamento comune a tutte le società, tanto da diventare, ahimè, banale. Consiste nel manifestare diffidenza, e poi disprezzo, per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre». Dunque Mérième gli dice: «Quindi, se è così diffuso, anche io potrei essere razzista?». «No, un bambino non nasce con il razzismo nella testa. Per lo più, un bambino, ripete quello che gli dicono i suoi parenti. Tutto dipende dall’educazione: sia nella scuola come a casa».

«Il razzista crede che lo “straniero” appartenga a un’altra razza, una razza che considera inferiore. Ma ha completamente torto. Il razzismo non ha alcuna base scientifica. Esiste un solo genere umano, nel quale ci sono uomini e donne, persone di colore, di alta o bassa statura, con attitudini differenti e variate. Ma tutti gli uomini e le donne del pianeta hanno nelle vene sangue della stessa tinta, sia che abbiano la pelle bianca, nera o di un altro colore. Perché un uomo è uguale a un uomo». A questo punto, continua la co-conduttrice, «Mérième fa una domanda, secondo me bellissima: “Babbo, ma i razzisti possono guarire? E lui: ma tu pensi che il razzismo sia una malattia?»

E Mérième: «“Sì, perché non è normale che un uomo disprezzi un altro uomo perché ha un diverso colore della pelle”. “Ed ecco la risposta del papà: La guarigione dipende da loro, se sono capaci di rimettere in questione sé stessi o no; se uno si pone delle domande, se dice a sé stesso: “Può darsi che io abbia torto di pensare come penso, perché quando uno riesce a uscire dalle sue contraddizioni va verso la libertà». «La cosa più importante per me, e spero che lo diventi anche per voi — conclude infine Cesarini rivolta al pubblico in sala e a casa — è chiedersi dei “perché”, per andare verso la libertà, la libertà dalle frasi fatte, dai giudizi precostituiti, la libertà dalle tifoserie che insultano, dai commenti su un tram. Io mi auguro, come Mérième, che ha 10 anni e con ogni domanda costruisce la sua “qualità” di essere umano, di non perdere mai la curiosità, perché è quello che mi rende libera, più matura».

Fonte: Corriere della sera - Lucia Zangarini

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I commenti degli utenti:

Corporis

Questo articolo mi suscita una riflessione dove il colore, l'inclinazione sessuale ovvero l'espressione di una non conformità suscita attacco per paura di non capire... il naufrago che arriva da altri territori viene trattato dai paesi che "devono" accoglierlo come un incomodo anziché pensare a dargli aiuto ed istituire la carta dei diritti e dei doveri... 

È deplorevole continuare a dare sfogo per cercare sensibilizzare ad accettare la diversità e non dare sfogo a casi di buona integrazione della apparente espressione "diverso"

Grazie per le belle considerazioni.


Psicologi in rete

Grazie a te, Corporis, per lo spunto che ci fornisci. 

Quello dell'accoglienza è effettivamente un settore dove tante variabili psicologiche e non, molte delle quali già da te citate, entrano in gioco. 

Sarebbe una tematica interessante da trattare con esperti di diversa formazione per accendere un dibattito. 

Un caro saluto. 




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