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La Politica dell' insulto


La Politica dell' insulto
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Nella politica italiana gli insulti e l’aggressione verbale hanno ormai sostituito le argomentazioni e il confronto sulle idee. È diventato un campo di battaglia e ne escono perdenti i fondamentali della nostra democrazia poiché non si separa più il dissenso dall’odio e la critica dall’insulto.

Negli ultimi decenni è scomparso il confine che garantiva dignità anche nei contrasti più accesi e il confronto politico è passato dall’antagonismo all’annientamento con una violenza verbale che non vuole convincere ma, bensì, distruggere l’avversario.

Oggi, con buona pace dell’educazione e del rispetto, i limiti sembrano scomparsi e l’insulto e il denigrare sono la norma, quasi innalzati a modelli da imitare.

 

Che ne è stato della politica al centro della discussione e del confronto?

 

La non-politica contemporanea prosegue sulla strada del populismo degli anni 90; periodo, a mio avviso, tra i peggiori della nostra storia politica che ha visto la natura e gli scopi dell’arte del governare sminuiti a una forma di continua e sguaiata beceraggine. Senza sottovalutare l’influenza della stagione grillina e di quella trumpiana con la sua modalità di semplificazione dei problemi complessi e la comunicazione personale forte e spesso controversa.

 

Ad oggi la politica, con una comunicazione aggressiva e spesso menzognera, pare esprimere perlopiù arroganza e odio come strumento per la ricerca di consenso.

 

Di conseguenza, anche i social si trasformano e fungono da cassa di risonanza per comunicazioni false o semi-veritiere che diventano cultura condivisa ovvero delle cosiddette fake-news diffuse o confermate da fonti che appaiono “carismatiche” e rese virali dal numero di condivisioni.

E assistiamo alla legittimazione dell’insulto coperto dall’anonimato che riversa offese, minacce e odio allo stato puro accanendosi persino sulla figlia di 8 anni di Giorgia Meloni.

 

Dopo il recente referendum, è salito all’onore delle cronache un post in cui si dice “ora tornate a cuccia”.

Si tratta, secondo me, di un’espressione densa di significati e di spunti di riflessione. La nostra civiltà si dovrebbe misurare anche dal modo in cui trattiamo gli animali e - se tale fosse - la comparazione non desterebbe preoccupazione, ma non è così; gli accadimenti recenti riportano alla memoria il peggio che l’uomo ha fatto non ponendo tutti sullo stesso piano e non considerando uguale e degna di pari diritti l’umanità nella sua interezza.

 

La reazione dell’opinione pubblica è, purtroppo, quasi sempre timida e perlopiù distratta. Ci si indigna (a volte), ma si dimentica anche in fretta e non si considera che tutto questo è, a volte, anche un mezzo per distogliere la nostra attenzione dall’agire politico.

 

E alla luce di tutto questo viene da chiedersi se l’Italia, con la Costituzione più bella del mondo, sia destinata a soccombere alla peggiore delle demagogie.

Resta la speranza in noi stessi. Non dobbiamo cedere e abbassare la guardia. Non rinunciamo ad essere critici. Reclamiamo e facciamo nostra una politica basata sugli argomenti, sul “chiedere conto” affinché le parole siano usate con responsabilità e consapevolezza.

Perché se le parole non hanno valore anche la libertà potrebbe essere a rischio.

 

Isabella Beraudo

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