



Amiamo la patria perché
amiamo tutte le patrie.
Giuseppe Mazzini
In qualità di componente dell’Assemblea legislativa francese, Victor Hugo, quale presidente della Conferenza di pace di Parigi nel 1849 illustra le idee circa Gli Stati Uniti d’Europa. Le parole di Hugo a Parigi sono visionarie, anticipatorie, lungimiranti, e terribilmente attuali:
Verrà un giorno in cui la guerra sembrerà così assurda fra Parigi e Londra, fra Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino da sembrare impossibile esattamente come, ai giorni nostri, lo sarebbe una guerra fra Rouen e Amiens […] Verrà un giorno in cui […] voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi stringerete in un’unità superiore e costruirete la fratellanza europea […] Verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e le menti, che si apriranno alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto, dal suffragio universale dei popoli, dal tribunale arbitrale di un Senato grande e sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, la Dieta per la Germania, l’Assemblea legislativa per la Francia.
La fine della Grande guerra, del primo conflitto mondiale, che però ha basi, motivazioni, attori, e morti, principalmente in Europa, pone l’esigenza di pensare al futuro del continente, cui conferire un assetto federale, per salvarlo dalla possibile futura distruzione. Aristide Briand, ministro degli Esteri francese, riflette alla creazione di un «sistema di unione federale europea» parlando all’assemblea della Società delle Nazioni nel 1929.
Edgardo Monroe, pseudonimo di Mario Alberto Rollier (1909-1980), uno dei padri del Movimento federalista europeo, nell’agosto del 1943, in «Quaderni dell’Italia libera», n. 15, 1944, pone le basi teoriche della costruzione degli Stati Uniti d’Europa secondo le considerazioni che seguono:
“Il settimo punto del programma del Partito d’Azione dice testualmente:
«Nel campo internazionale, compatibilmente con la situazione di fatto che si determinerà alla fine della guerra, sarà portato il massimo contributo alla formazione di una coscienza unitaria europea, premessa indispensabile alla realizzazione auspicata di una federazione europea di liberi paesi democratici nel quadro di una più vasta collaborazione mondiale. Imperiosa ed immediata si afferma però la necessità:
- di una stretta e continua collaborazione con tutte le democrazie;
- di una revisione dei rapporti e dei valori internazionali che neghi decisamente il principio dell’assoluta sovranità statale e sancisca il ripudio di ogni questione meramente territoriale;
- della costituzione di una comunità giuridica di stati che abbia organi e mezzi adeguati a instaurare ed attuare un regime di sicurezza collettivamente organizzata e di tutela internazionale delle minoranze;
- …. L’opera della pace dovrà infine permettere ed assicurare una riorganizzazione economica generale secondo i principi della divisione del lavoro, del libero trasferimento delle forze produttive e delle merci, del libero accesso alle fonti delle materie prime.»
In esso è contenuta la rivendicazione rivoluzionaria della creazione degli STATI UNITI D’EUROPA intesi come il risultato necessario, inevitabile, di forze ed interessi endogeni europei, ovvero la soluzione armoniosa dei problemi europei così pieni di acredine ed apparentemente cozzanti gli uni contro gli altri, che non presenta altre alternative, poiché la sola alternativa ad essa è l’autodistruzione dell’Europa, della sua cultura e della sua multiforme civiltà.
…ultima possibilità di realizzare un più vasto sistema europeo … è quella di creare un’unione federale fra tutti gli stati europei che lo desiderino.
…La federazione non è una lega fra stati, è una «res publica» di tutti i cittadini degli stati membri dell’unione federale, i quali debbono, con loro rappresentanti diretti e non pel tramite delle cancellerie statali, contribuire alla determinazione della volontà federale; debbono direttamente, e non pel tramite dei tesori statali, contribuire alle spese federali; debbono direttamente e non pel tramite degli eserciti statali, essere chiamati a formare una milizia per il mantenimento dell’ordine nella federazione; debbono infine direttamente e non pel tramite di polizie statali, esser responsabili dinnanzi al potere federale per loro eventuali infrazioni alle leggi federali. Si deve creare una vera e propria cittadinanza federale, cioè un legame diretto di diritti e di doveri tra federazione e cittadini federati. Oggi, oltre che cittadini del nostro comune, siamo anche cittadini (troppo spesso sudditi!) del nostro stato, cioè siamo legati per un complesso di diritti e di doveri al nostro stato oltreché al nostro comune e paghiamo tasse comunali e tasse all’erario statale, domani dovremo anche essere cittadini effettivi della federazione, e pagheremo tributi federali….
…Le leggi riguardanti, per esempio, il matrimonio, l’urbanesimo, la regolazione dei corsi d’acqua e la costruzione delle strade che non siano arterie internazionali, la bonifica, la pubblica istruzione, l’igiene, ecc., costituiscono la giurisdizione dei governi statali-nazionali, mentre d’altra parte il controllo della moneta, della finanza, delle relazioni internazionali, della difesa, del commercio e delle comunicazioni interstatali compete al governo federale …Il governo federale … non s’impiccia di ottenere l’unanimità fra i governi dei vari stati per ottenere la loro ratifica dei suoi editti.”
All’indomani dell’8 maggio 1945, giorno della resa incondizionata nazista, che segna sì la fine della belligeranza lasciando però sul campo strascichi di odio, rancori e incomprensioni, che sarebbero potuti scaturire in un nuovo focolaio di nazionalismo e di revanchismo e nel mito della «pugnalata» alle spalle che era stato il carburante della propaganda hitleriana, la classe dirigente più illuminata e progressista agì rapidamente, lanciando un progetto ambizioso, i «padri dell’Europa» futura stabilirono le basi per l’integrazione.
Winston Churchill nel celeberrimo discorso tenuto all’Università di Zurigo, perorò la necessità di un’Europa unita e si adoperò per costruire un «terzo» polo rispetto al duopolio russo-americano. La proposta di «un tipo di Stati Uniti d’Europa» rappresenta il punto di partenza della futura montante marea di opinioni a favore dell’Europa unita.
Dal 1945 l’impianto teorico ha fatto perno su diversi approcci. Da un lato le teorie federaliste, dall’altro una spinta alla cooperazione fra Stati europei proveniente dal contributo funzionalista.
L’approccio funzionalista prevede che il processo di integrazione si rafforzi allorché alcuni attori nazionali, ossia diversi Stati, mettano in comune risorse e condividono azioni e politiche. È quanto avvenuto nello specifico con i primi trattati istitutivi delle Comunità europee, che miravano appunto alla cooperazione prospettando benefici prevalentemente economici per ciascun contraente.
I temi funzionalisti sono stati, con un gioco di parole, funzionali alla costruzione delle prime istituzioni europee, e quindi fanno riferimento soprattutto ai decenni immediatamente postbellici.
All’adesione verso un modello di cooperazione e integrazione basato principalmente su una dimensione materiale, ha fatto seguito e/o si è affiancata una crescente richiesta per politiche sovranazionali, per una compiuta unione politica che possiamo riassumere nella prospettiva federalista.
La teoria del federalismo prevede quindi, come anticipato da Monroe, che durante il percorso di unione emergano spinte per rafforzare la cooperazione e l’integrazione con alcuni passaggi fondamentali che mirano alla cessione di sovranità dagli Stati nazionali verso una nuova costituenda struttura. La quale, con un assetto federale, aggrega le parti aderenti che decidono di prendere parte all’entità sovranazionale. Oltre alla cessione di sovranità gli Stati aderenti si prefigurano l’obiettivo di ottenere maggiore prosperità economica e di avere un livello superiore di sicurezza – militare, geopolitica e in termini di diritti in senso lato. In altre parole, unirsi per costruire la pace.
Quello che sta accadendo nelle ultime ore a livello internazionale appare grave oltre ogni limite. Le trattative tra Trump e Putin hanno poco da invidiare al patto Molotov-Ribentropp con cui Germania e Unione Sovietica si spartirono a tavolino la Polonia alla vigilia della Seconda guerra mondiale: cambiano solo la vittima, che questa volta è l'Ucraina e i boia, che sono i presidenti di Usa e Russia invece che Hitler e Stalin.
Ma sono gravissimi anche gli attacchi senza precedenti fatti dagli Stati Uniti all'Europa. Se esistesse un'Europa unita, e del fatto che non c'è dobbiamo ringraziare le destre sovraniste, a partire da quelle di casa nostra, ci sarebbe una sola risposta da dare: una crisi diplomatica seria e profonda, e forse senza ritorno, tra gli Usa e la Ue e ogni singolo Paese che ne fa parte e l'affrancamento dell'Unione Europea da un Paese che è diventato pericoloso per tutto il pianeta.
Sarebbe ora di iniziare a camminare da soli, e inventarsi una strada nuova, la famosa "terza via", che cambi tutte le carte in tavola per noi e per chiunque nel mondo voglia sganciarsi da Trump-Musk, Putin e Xi.
Quella che stanno preparando è una spartizione del mondo sulle teste degli altri popoli. I destini di Ucraina, Palestina e presto Taiwan verranno concordati a tavolino tra le superpotenze. Altre violenze avverranno più silenziosamente con strangolamenti economici neo-coloniali a chi non si piegherà: i dazi trumpiani sono solo un piccolo assaggio.
La parola pace non è sinonimo di non-guerra. Non sono pace l'asservimento, la repressione, l'ingiustizia, l'oppressione, il ricatto, lo sfruttamento delle risorse da parte dei pesci grossi ai danni dei pesci piccoli. In una parola, non si può scambiare per pace la legge della giungla, la sottomissione al più forte, anche se tacciono le armi.
Per l'Europa questa è l'ultima chiamata. È stato rimproverato spesso alle forze popolari, progressiste e democratiche di non avere una visione. Ecco, questa è un’ottima occasione per dimostrare il contrario. L’orizzonte siano gli Stati Uniti d’Europa.
E se l’orizzonte potesse parlare,
direbbe che è stanco di tutti quegli sguardi
incapaci di raggiungerlo
Roberto Merico
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