Il prossimo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha recentemente dichiarato la sua intenzione di ritirare l’adesione all’accordo di Parigi sul
clima. Gli Stati Uniti abbandonerebbero quindi gli organi dell’ONU preposti al monitoraggio della crisi climatica e alla definizione di politiche
condivise per la mitigazione delle relative cause.
C’è da credergli, visto lo stile sbrigativo e irresponsabile con il quale the Donald è abituato a trattare i problemi di questo nostro mondo in
ebollizione (non solo a causa del clima). La determinazione ambientale del novello Presidente si accompagna a una serie di promesse feroci (la
deportazione degli immigrati) e ricattatorie (l’imposizione unilaterale di dazi), ma si distingue da queste per la sua natura e per il carattere
universale delle sue conseguenze. Cerco di spiegare i motivi di questa particolarità e di abbozzare alcune idee per un’azione.
Se guardiamo alla natura della decisione trumpiana, occorre registrare che l’abbandono degli impegni di Parigi (CoP21, 2015) non è una critica (che
sarebbe del tutto lecita) alle risoluzioni che, a fatica, la comunità planetaria sta cercando di affermare. Si tratta piuttosto di una rinuncia a partecipare
all’unico processo collettivo che tenta di salvare il pianeta: una decisione categorica, quindi molto pericolosa perché non lascia spazi di replica, o di
apertura dialettica.
In merito al carattere universale delle conseguenze, va detto che questo rifiuto di responsabilità da parte del Paese che dispone della maggiore
forza economica e delle più sofisticate tecnologie, rischia di infliggere una ferita mortale all’azione di tutte le comunità impegnate nella lotta ai
cambiamenti climatici. Il danno rischia di essere ancora maggiore se la scelta trumpiana dovesse produrre effetti di trascinamento verso quei
Paesi che già oggi sollevano eccezioni fondamentali sulle proposte di mitigazione (i Paesi produttori di idrocarburi). Un’ulteriore aggravante
deriva dal gigantesco contributo che gli Stati Uniti hanno dato e continuano a dare al deterioramento ambientale, un contributo che
esigerebbe un onere aggiuntivo di responsabilità verso i Paesi svantaggiati per colpe altrui.
In questa situazione si può affermare che la minaccia del futuro Presidente degli Stati Uniti rischia di danneggiare in modo irreparabile un processo
che riguarda tutti noi. Che fare? Penso che casi come questo giustifichino azioni di denuncia collettiva da parte dei movimenti e dei singoli cittadini
ed eventualmente, azioni non violente di ritorsione, ad esempio sul piano degli orientamenti nelle scelte di consumo.
In altre occasioni le azioni partite dal basso e dai gruppi di pressione non violenta hanno dato risultati eclatanti. Dobbiamo ricordare ad esempio: la
lotta contro gli allevamenti di animali da pelliccia, la mobilitazione contro l’uccisione delle balene, l’orientamento verso prodotti alimentari prodotti
secondo criteri di equità sociale e di coerenza ambientale. Si è trattato di casi di successo, perché non rilanciarli su un argomento che riguarda il
futuro del Pianeta?
Giovanni Colombo
I commenti degli utenti:
Azioni di lotta meritevoli. Per essere efficaci si deve costruire una rete internazionale per mobilitare masse imponenti. Proteste o iniziative frammentate, considerato il personaggio, non avrebbero efficacia. Neanche Fridays for future ha smosso gli attori del riscaldamento globale.
Azioni di lotta meritevoli. Per essere efficaci si deve costruire una rete internazionale per mobilitare masse imponenti. Proteste o iniziative frammentate, considerato il personaggio, non avrebbero efficacia. Neanche Fridays for future ha smosso gli attori del riscaldamento globale.