Aldilà dei toni trionfalistici dell’attuale governo, i dati concreti e reali della situazione della povertà in Italia, rivelano un Paese ben diverso da quanto descritto nei comunicati governativi e da alcune fonti di informazione pubblica.
Questi dati mostrano un Paese, il nostro, in grande difficoltà, dove la povertà avanza e intacca oramai tutto il territorio e tutti i ceti sociali, con alcune eccezioni.
Occorre per forza di cose indicare dei freddi numeri e percentuali per prendere atto di tutto ciò, ma occorre anche tenere ben a mente che dietro a tali numeri e percentuali ci sono persone, con i loro drammi e problemi concreti.
Un numero enorme di famiglie che non possono assicurare ai propri figli una vita minimamente dignitosa, un Paese, il nostro, che dovrebbe custodire e promuovere i bambini, perché è da questo dato che si vede lo stato di salute di una società e di buon governo.
Cosa si intende per “povertà assoluta”?
Dipende da dove si abita e da quanto è composto il proprio nucleo familiare: una persona sola al Sud è considerata povera se il suo reddito è pari o inferiore ad € 830,00 mensili, mentre al Nord è di € 940,00; per una nucleo di due persone il divario sopra indicato è tra i € 1.120,00 ed i € 1.320,00 mensili; per i nuclei familiari di più persone si parte da chi abita al Sud di € 1.800,00 ed i € 2.300,00 di alcune zone del Nord come Milano.
Per quel che riguarda le fasce d’età, nel 2023 l’incidenza di povertà assoluta più elevata è stata osservata tra i minori di 18 anni, valori più elevati della media nazionale si rilevano anche per i 18-34enni e i 35-44enni . L’incidenza individuale decresce fino al 5,4% dei 65-74enni, il valore più basso, per poi risalire al 7% nella fascia di popolazione più anziana, quella degli individui con 75 anni e più.
Dalle ultime rilevazioni ISTAT risulta che in Italia i minori in povertà assoluta sono il 13,8% sul totale dei minori, pari a 1.290.000,00 bambini e ragazzi, il valore più elevato dal 2014 e questo fenomeno aumenta col crescere del numero di figli minori presenti in una famiglia (6,6% per le coppie con un figlio minore, 11,6% per quelle con due figli minori), restando molto alto tra le famiglie mono-genitore con minori (14,8%).
Dalle classifiche Eurostat sulla povertà che contagia le future generazioni, l’Italia ha un non edificante terzo posto in classifica con un 34% di giovani che a causa della difficile situazione economica familiare rischiano di restare povere, confronto ad un livello europeo decisamente inferiore (20%), peggio di noi solo Romania e Bulgaria, con tassi di rischio di trasmissione della povertà segnalati decisamente più alti.
Cosa significa questo dato dell’analisi Eurostat: che il rischio di trasmissione intergenerazionale della povertà è confermato negli adulti (tra i 25 ed i 59 anni) che già a 14 anni vivevano in una famiglia con una situazione finanziaria difficile, quindi non ha funzionato il cosiddetto “ascensore sociale”, che in passato ha portato al miglioramento delle condizioni economiche delle precedenti generazioni.
In Italia la povertà penalizza le aspirazioni dei giovani, poiché un adolescente su dieci in Italia vive in condizioni di grave deprivazione materiale, condizione che riguarda più di centomila ragazze e ragazzi tra i 15 e i 16 anni.
Più di un ragazzo su 4 che vive in condizioni di grave povertà pensa che non riuscirà a finire la scuola ovvero il 28,1%, afferma che non concluderà la scuola e andrà a lavorare, a fronte dell’8,9% dei coetanei più abbienti e il 43,6% vorrebbe andare all’università ma non è certo di potersela permettere, rispetto al 10,7% di chi vive migliori condizioni economiche.
Mentre il 67,4% teme che, se anche lavorerà, non riuscirà ad avere sufficienti risorse economiche, contro il 25,9% degli adolescenti che non vivono condizioni di deprivazione.
Certo le “aspirazioni” per il futuro risultano essere piuttosto comuni tra tutti i ragazzi e le ragazze, ma purtroppo le “aspettative” sono ben diverse, poiché la condizione di povertà economica ha un peso significativo sulle aspettative di vita degli adolescenti.
Nella forbice tra aspirazioni e aspettative, la distanza si fa ancora più profonda quando i percorsi di vita riguardano gli adolescenti in condizioni di grave deprivazione, a partire dalle aspettative sull’istruzione: la scala sociale non solo si è bloccata, ma rischia di andare all’inverso.
I ragazzi che vivono in condizioni di disagio economico hanno un’alta consapevolezza sugli ostacoli che dovranno affrontare nel loro accesso al mondo del lavoro. Il gap tra aspirazioni e aspettative concrete di avere un lavoro ben retribuito è infatti molto maggiore per questi ragazzi rispetto ai coetanei che vivono in condizioni economiche migliori:
- il 67,4% degli adolescenti in condizione di deprivazione materiale teme che, se anche ne troverà un lavoro, non riuscirà a guadagnare abbastanza, a fronte del 25,9% dei coetanei più benestanti,
- il 67,3% teme di non riuscire a trovare un lavoro dignitoso, privo di sfruttamento, contro invece il 35,8% dei giovani in condizioni migliori,
- ancor più significativa la relazione tra la deprivazione e l’aspettativa di potersi realizzare. Se quasi il 74,9% dei minori in condizioni socioeconomiche favorevoli è convinto che riuscirà a fare ciò che desidera nella vita, la percentuale scende per i minori in svantaggio socioeconomico arrivando al 54,7%.
Le ragazze, indipendentemente dalla situazione economica, sono le più scoraggiate.
Ma attenzione! La povertà inizia ad erodere anche le classi prima considerate privilegiate, ossia le famiglie in cui ci sono dirigenti-quadri-impiegati dipendenti (passate dal 2,6% al 2,8%) e quelle degli imprenditori e liberi professionisti (dal 1% al 1,7%)
Questo significa anche che una persona su 10 vive in povertà assoluta e che negli ultimi dieci anni (anche a causa del fermo degli aumenti dei salari) vi è un aumento ininterrotto di questo fenomeno che è un vero e proprio boom di famiglie povere al Nord (+97,2%).
Un osservatorio privilegiato è sicuramente la Caritas che non fa che confermare i dati Istat: negli ultimi dieci anni il numero di persone sostenute è aumentato del 41,6% e del 5,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente; la Caritas ha chiesto di ripristinare “un sistema di sostegno universale e continuativo che eviti l’esclusione delle tante persone in povertà assoluta” in Italia, perché le nuove misure nazionali di sostegno alla povertà hanno registrato un dimezzamento delle persone raggiunte rispetto il Reddito di Cittadinanza, infatti ricevono l’Assegno di inclusione (Adi) 697.640 nuclei familiari, ma sono rimaste senza supporto 331.000 famiglie, molte delle quali residenti al Nord, in affitto o nuclei mono componenti.
La probabilità di essere povero logicamente aumenta nell’essere disoccupato, ma meno ovviamente aumenta anche in chi un lavoro lo ha, sopratutto se è un operaio, se vive in una famiglia numerosa e se sei uno straniero, se vivi al Sud, ma ora anche al Nord.
Le famiglie operaie in povertà assoluta nel 2023 hanno toccato il record di 16.5%, un balzo di quasi due punti percentuali rispetto al 2022; stesso balzo anche per le famiglie operaie considerate in “povertà relativa” che passano dal 16,8% del 2022 al 18,6% del 2023.
Il dato è correlato alla produzione industriale italiana che ad agosto ha segnalato il suo 19° mese consecutivo di calo, mentre sono aumentati i tagli, le chiusure, la cassa integrazione.
I lavoratori italiani sono sempre più poveri e non riescono a proteggere le loro famiglie dal disagio economico; l’incidenza della Povertà Assoluta tra gli occupati (ossia tra coloro che un lavoro ce l’ha) è cresciuta di un ulteriore 2,7%, arrivando ad un complessivo 7,6% dei lavoratori.
E’ chiaro a tutti (tranne che al Governo) che gli stipendi dei lavoratori italiani non sono cresciuti adeguatamente rispetto al costo della vita: in Italia il potere di acquisto è SCESO del 4,5%, mentre in altri Paesi è CRESCIUTO, ad esempio in Germania del 5,7%.
Non solo, molti lavoratori (soprattutto donne) sono obbligate ad un contratto part-time, mentre vorrebbero un contratto a tempo pieno, ma è la volontà dei datori di lavoro ad essere contraria.
Altro dato preoccupante è il numero di italiani che migrano all’estero: + 11,8% dal 2020, e non solo “cervelli in fuga”.
Sono oltre 6 milioni e 134 mila gli italiani all'estero: da gennaio a dicembre 2023 si sono iscritti all’Aire, anagrafe italiana residenti all'estero, con la motivazione “espatrio”, 89.462 italiani, il 54,8% dei quali maschi, oltre due terzi celibi o nubili.
Non siamo ancora tornati ai livelli prepandemici, con oltre 130mila espatri in un anno, ma da gennaio a dicembre del 2023 rispetto al 2022 si registra un significativo + 9,1%.
Unico miglioramento segnalato è quello dei lavoratori autonomi in cui le famiglie in povertà assoluta scendono dal 8,5% al 6,8%.
E’ oramai chiaro che occorre in primis un cambio di paradigma sul modo in cui l’economia considera sia la povertà e che lo sfruttamento quasi un male necessario.
Bisogna reagire a questa deriva, modificare l’approccio culturale che colpevolizza i poveri, che li rende i soli responsabili della loro situazione e che tratta il tema della povertà come un tema da esorcizzare.
Sono atteggiamenti che non aiutano a fare passi avanti e rimandano il problema al prossimo governo o alle prossime legislature.
In questa fase storica si tratta insomma di capire se i poveri interessano ancora a chi, con responsabilità e poteri differenti, può cambiare la loro condizione, o se, come spesso appare, di loro non vogliamo più occuparcene.
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