AGGIORNATO AL: 17/01/2025 12:01:05
ISCRITTICANALIISCR.CANALIPOSTVISITE
1903369242762142847988
Editoriale del PD Collegno
8 Iscritti al canale
787 View

Ucraina, armi: Sì o No? Premesse per un dialogo responsabile


Ucraina, armi: Sì o No? Premesse per un dialogo responsabile
0
0
33


La guerra in Ucraina sta guastando il dialogo tra i partiti e i movimenti che si ispirano a vario titolo ai valori del pacifismo e della non-violenza. In realtà, a differenza di altri, questo tema non ha mai raggiunto il grado di approfondimento che meriterebbe. Così le posizioni si cristallizzano in un desolante vuoto di comunicazione, a dispetto di ogni residua speranza di convergenza su obiettivi comuni.

Penso che le due opzioni proposte armi Sì – armi No, siano entrambe discutibili dal punto di vista etico. Rappresentano cioè un vero dilemma che non può essere ridotto alle affermazioni perentorie di indignati fustigatori o di irriducibili mediatori dilaniati da sensi di colpa.

Il nodo del dilemma sta nel significato che attribuiamo alla parola Pace. Se per Pace intendiamo l’assenza di guerra, allora quella del titolo è una domanda retorica. L’assenza di guerra diventare un imperativo categorico cioè un obbligo morale che non ammette condizionamenti e l’unica risposta possibile è: “No armi all’Ucraina!

Ma è proprio sul significato della parola Pace che dobbiamo misurare le opzioni che abbiamo di fronte. Proviamo allora ad allargarne il senso definendo Pace come: la condizione di convivenza non violenta tra popoli che si autodeterminano nel rispetto della dignità delle persone. Credo che la definizione possa (debba?) essere assunta come obiettivo comune per un’azione politica basata sul valore della libertà dei singoli e delle comunità umane. La libertà è infatti l’elemento fondativo di quella condizione.

Se per un attimo usciamo dalla questione proposta nel titolo, occorre sottolineare che un’azione coerente con la definizione di pace è quella perseguita dall’Europa fin dall’inizio: l’adozione di sanzioni di natura economica verso l’aggressore. Si tratta di una scelta non violenta che purtroppo trova la sua efficacia solo nei tempi lunghi. Anche se la sua attuazione non è stata esente da errori e sotterfugi, va riconosciuto che la comunità europea ha assunto su questo piano decisioni coraggiose e rischiose per la sua stabilità sociale ed economica. Le critiche sollevate verso la politica sanzionatoria dell’UE si basano sulla la sua (presunta) scarsa efficacia e sull’entità dei danni economici subiti dalla stessa Europa. Ma sono poco credibili perché in un’economia interconnessa è inevitabile che le sanzioni gravino anche sul sanzionatore e se mai, il danno subito dall’Europa è prova di maturità politica non di poco conto.

Tornando alla questione Armi sì o No? non è difficile riconoscere che ci troviamo nel bel mezzo del dilemma. Armare l’Ucraina serve a preservare la libertà di un popolo aggredito e a contrastare l’uso illecito della violenza, ma al contempo esalta la produzione e l’impiego del principale strumento di negazione della libertà (le armi); per contro, la scelta di non inviare le armi ci avvicina inesorabilmente a un mondo pacificato attraverso il sopruso del più forte, quindi un mondo non libero. La domanda dalla quale siamo partiti è quindi inaccettabile perché porta, vuoi ad ignorare l’obbligo morale di lottare contro il riarmo, vuoi ad ignorare del tutto l’elementare etica del soccorso.

La necessità di muoversi tra due opzioni che sembrano entrambe negare i presupposti per una prospettiva di pace, ci dice quanto sia difficile orientarci in una vicenda come quella Ucraina: un carico morale che è difficile da districare.

Forse è utile guardare ai criteri etici che ispirano o dovrebbero ispirare ogni scelta politica (a maggior ragione, le scelte che riguardano una guerra in corso). Penso si possano riassumente in due classici imperativi: agire secondo i valori richiamati nella definizione di Pace (etica dei valori); agire valutando in anticipo le conseguenze delle nostre azioni e la coerenza con i principi assunti (etica della responsabilità). Sul piano del filosofare sembra che le due visioni, che richiamano rispettivamente l’etica di Kant e l’etica di Hegel/Jonas, siano inconciliabili, ma forse nel caso in questione è possibile fare qualche passo in avanti considerando direttamente la coerenza immediata delle nostre azioni e le loro prevedibili conseguenze.

Con queste premesse provo a spiegare quello che a mio parere dovrebbe essere da adesso in poi l’orientamento europeo verso la guerra in Ucraina. L’analisi critica delle diffuse responsabilità che hanno portato al conflitto è implicitamente contenuta nelle proposizioni che seguono.

Anticipo la conclusione del ragionamento: l’Europa ha fatto bene ad aiutare l’Ucraina fornendole le armi necessarie a contrastare l’invasione. E deve continuare a farlo fino a quando non si arrivi ad un cessate il fuoco, attivandosi molto più di quanto sia stata capace di fare finora per giungere ad una pace giusta per l’Ucraina. Allo stesso tempo l’Europa deve rifiutare categoricamente l’aumento delle spese militari richiesta dagli Stati Uniti allo scopo di allineare il contributo dell’Unione alla capacità dissuasiva della Nato.

Le due azioni devono essere perseguite congiuntamente, nel tentativo di affermare l’aspirazione alla pace che ha ispirato fin dai primi passi la costruzione dell’Unione.

Ecco alcuni argomenti a supporto di questa posizione.

Se avessimo negato l’aiuto militare all’Ucraina, vista l’asimmetria delle forze in campo, il sopruso del più forte si sarebbe affermato in modo permanente (è difficile credere che, una volta conquistato un territorio o parte di esso, l’aggressore sia disponibile a restituirlo in tempi brevi) e completo (l’aggressione all’Ucraina ha colpito prima la Capitale ed è proseguita lungo tutte le direzioni accessibili del confine, fino a quando la resistenza ucraina non si è rivelata superiore alle aspettative). L’aiuto bellico all’aggredito ha invece affermato che l’uso arbitrario della forza da parte del più forte non può mai essere accettato impunemente.

Il rifiuto della ingiunzione(?) della Nato tende ad affermare da subito la via del disarmo come l’unica percorribile. Questa via inoltre non è affatto velleitaria perché è facile dimostrare come già oggi l’Europa disponga di dotazioni (e di investimenti) sufficienti a fronteggiare incursioni (non nucleari) di questa natura. L’Istituto Internazionale per la Pace di Stoccolma (SIPRI 2024) riporta che nel 2023 la Russia ha speso in armamenti 102 B$ (miliardi di dollari) mentre i 5 maggiori Paesi europei hanno speso complessivamente nello stesso anno 250 B$. Anche assumendo che i dati ufficiali della Russia siano sottostimati (come molti studiosi sostengono) ci sono ampi margini per affermare che un riarmo europeo è non solo eticamente riprovevole, ma anche ingiustificato (questa tesi è sostenuta da Enrico Letta nel suo rapporto all’UE Much more than market). Va detto che la spesa in armamenti dell’Europa è già cresciuta in modo significativo tra il 2022 e il 2023 (l’Italia è l’unico dei grandi Paesi europei che l’ha leggermente ridotta). La recentissima richiesta di Trump di aumentare al 5% del PIL le spese militari dei membri della Nato suona ancora più grottesca alla luce di questi dati. Per l’Europa la scelta più opportuna è la costituzione di un unico esercito che potrebbe addirittura portare ad una riduzione significativa delle spese militari (Enrico Letta nel documento citato stima una riduzione delle spese militari europee del 40% solo grazie alla razionalizzazione dei sistemi nazionali, questo concetto è anche ripreso nel commento critico al documento Draghi, elaborato dall’associazione Disuguaglianze e Diversità di Fabrizio Barca).

Anche gli effetti di lungo termine (le conseguenze) delle azioni proposte, sembrano sufficientemente coerenti con una politica di pace. L’aiuto militare punta a rifiutare il sopruso del più forte, e lo fa come supplenza credibile all’attuale impossibilità dell’ONU di svolgere anche militarmente il suo auspicabile ruolo di arbitro unico nei dissidi tra gli Stati. Al contempo, l’aiuto militare è inscritto in una scelta di disarmo (o meglio di non riarmo) unilaterale: una sollecitazione rivolta alle grandi potenze e alla loro tendenza bellicistica. In particolare, è rivolta verso gli Stati Uniti i quali sostengono ancora il 37% delle spese complessive in armamenti. Detta con una battuta, la proposta prefigura sì un allineamento delle spese dei Paesi Nato, ma verso il basso e smaschera la ridicola pretesa di misurare la potenza militare di un blocco attraverso la spesa relativa al PIL (il blocco Nato riguarda circa un miliardo di persone, la Federazione Russa ne raggruppa meno di 150 milioni, è facile calcolare come, assunta l’uniformità del PIL pro capite, per uguagliare lo sforzo bellico della Federazione russa, basterebbe alla Nato uno sforzo economico riferito al PIL pari a 1/6 di quello sopportato dalla Russia).

La speranza di chi scrive è che su proposte di questa natura si possa stabilire un dialogo costruttivo per un orientamento comune dei partiti progressisti europei.

Giovanni Colombo

Condividi

Top 10 Articoli del Canale

/Logo_Gumy.png
Chi Siamo

Giaroni, servizi di sviluppo tecnologico delle telecomunicazioni e di tecnologie per la Digital Transformation.

Copyright 2021-23. All rights reserved.