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Editoriale del PD Collegno
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La trappola della destra


La trappola della destra
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È alquanto bizzarro che nel racconto farlocco della destra i diritti individuali e della persona reclamati dalla sinistra: diritto di manifestare, libertà di espressione, identità di genere, cittadinanza, aborto, condizione dei detenuti siano di insignificante importanza e ci si debba invece occupare di cose serie: salute, prezzo della casa, lavoro, costo della vita e che la sinistra perda sistematicamente per questo.

 Poi però quando la destra vince e governa quei diritti li toglie. Sono proprio i primi provvedimenti che prendono, non aspettano oltre. Non si occupano del costo della vita che sale vertiginosamente, non del lavoro che manca e quando c’è è precario o di cattiva qualità, non di ospedali e sanità pubblica che collassa con liste d’attesa infinite e quella privata che lucra sulle disgrazie della prima, non di chi è senza casa e degli affitti sempre più esosi.

È un fenomeno mondiale. Negli Stati Uniti le ultime misure sono state l’annullamento della direttiva del 2022 che obbligava gli ospedali a garantire l’aborto in caso di emergenze mediche; la crociata contro gli immigrati; il ridimensionamento dello ius soli garantito dalla Carta costituzionale, non vale più se chi nasce in America è per esempio figlio di immigrati irregolari; la battaglia alle università sospettate di essere avverse all’ideologia di chi governa, l’ostracismo ai manifestanti, di chi esprime un pensiero non conforme, lì, esercito e proiettili per ora di gomma anche contro i giornalisti della libera stampa giudicata nemica.

Quindi i diritti della persona sono irrilevanti quando è la sinistra a rivendicarli e sono cruciali quando è la destra a governare. Non contano, non importano a nessuno, ma poi si, moltissimo a loro, appena si insediano.

Il grande equivoco, la trappola in cui siamo tutti caduti, è che i diritti sociali e quelli individuali siano alternativi. Non lo sono. Ci si può facilmente occupare di entrambi, persino allo stesso momento. Negli anni Settanta, in Italia, andò così. Lo Statuto dei lavoratori non impedì di scrivere la legge Basaglia o viceversa; il divorzio e l’aborto sono stati ottenuti insieme ad una scuola e a una sanità migliore. D’altronde nella vita di tutti i giorni ciascuno di noi può interessarsi di riforma elettorale e uscire a fare la spesa.

L’aggettivo ideologico è diventato un insulto per screditare il nemico politico, come se avere un’idea che muove l’azione, cioè agire in base a un pensiero fosse una colpa. Agire senza pensare come avrebbe voluto Il ministro Matteo Piantedosi; il responsabile della sicurezza nazionale, toccando vette ancora inesplorate dal genere umano, riuscendo a dire due cose in perfetta contraddizione, con assoluta naturalezza ha infatti rimproverato alla Corte di Cassazione di essere ideologica, in merito alla segnalazione che quest’ultima ha fatto, di elementi di anticostituzionalità del “suo” decreto sicurezza, violando l’indipendenza dei poteri riconosciuta dalla nostra costituzione, costituendo tale principio, le fondamenta del nostro vivere civile e democratico, peraltro senza leggere come da lui ammesso le motivazioni della Corte per non aver avuto tempo, sic.. Avete capito bene. Non l’ha letta, ma la giudica e la definisce “ideologica“. Neanche l’uomo della strada avrebbe avuto il pudore di fare quell’affermazione. È il ritratto fedele della classe dirigente che oggi ci governa. Persone che parlano senza studiare, attaccano senza capire, legiferano senza leggere. Ministri che pretendono di spiegare la Costituzione mentre ne ignorano le basi. Non è solo ignoranza: è arroganza. È il potere convinto di non dover rendere conto a nessuno. Nemmeno alla verità. Ecco perché fanno paura. Non solo per quello che dicono. Ma per quello che ignorano.

Di recente sono state svolte alcune manifestazioni di cittadini in Italia e in Europa per rivendicare i diritti dei lavoratori ma anche della persona, delle libertà degli individui. E certo: sono le minoranze che devono difenderli, difenderle. A questo serve la piazza: a contestare. Chi governa non ha bisogno di contestare. Chi governa agisce, e per prima cosa quei diritti li elimina.

I diritti della persona, quindi, sono cosa di primissimo rilievo politico. Non un “falso obiettivo” per una sinistra disorientata e ripiegata su sé stessa, non uno sfizio, e quasi un vizio, da occidentali annoiati, non uno spreco di energie distolte dalle questioni sociali e salariali. No: è qualcosa che riguarda l’essenza stessa della democrazia, in grado di costringere un intero continente, classe politica e opinione pubblica, a riflettere su sé stesso, con l’odio fascista che si mette (inutilmente) di traverso e il truce governo ungherese isolato e costretto alle corde assieme al cospicuo novero dei suoi alleati europei, governo italiano in primo luogo. Una materia per nulla fumosa, fatta di persone in carne e ossa e di vite quotidiane (non si dice sempre che la politica deve occuparsi della vita quotidiana delle persone?). Orbán lo sa benissimo, che la sostanza di quel movimento è una visione plurale e liberale della società, e per questo, in sintonia con il suo faro politico Putin, non lo sopporta: fino a vietarlo. Ha perso clamorosamente una battaglia importante, e ancora non si sa chi vincerà la guerra. Ma di qui in poi il vecchio argomento “si parla troppo di diritti, poco di politica vera” ha perso ragione d’essere.

Roberto Merico

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