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La casa è un diritto


La casa è un diritto
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L’abitazione è un bisogno primario insopprimibile! Un diritto umano. Un diritto sociale non esplicitamente contemplato dalla Costituzione. Tuttavia, un diritto implicito nella Carta, nonché strumentale al godimento di altri diritti codificati e precisamente all’art. 3 c. 2 della Costituzione, la quale infatti recita che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana;  e il non avere un tetto sotto il quale vivere non può che essere appunto un ostacolo a quanto prescritto dalla nostra legge fondamentale.

In termini generali, le politiche abitative rispondono al bisogno di disporre di una abitazione adeguata, in termini di standard qualitativi e quantitativi, alle esigenze delle persone e dei nuclei familiari che non possono provvedervi da soli.

L’abitare è uno tra i diritti negati ad una parte sempre più significativa della nostra popolazione. Alle fasce tradizionalmente riconosciute nella storia della politica della casa come destinatarie, almeno sul piano formale, di un’abitazione di edilizia residenziale pubblica o comunque di forme di supporto pubblico, si sono aggiunte, nel corso degli anni Duemila, nuove e diversificate situazioni di disagio grave, temporaneo o stabile, che hanno coinvolto quote della popolazione che fino ad allora potevano considerarsi “al riparo” da questo tipo di problema. Un universo variegato sotto il profilo socio-economico, culturale, fasi del ciclo di vita, accesso al lavoro e disponibilità di reddito, che esprime una gamma articolata di istanze e di bisogni connessi alla casa e al ruolo che essa può svolgere nei propri percorsi di vita e rispetto alla possibilità/capacità di crescita e di autonomia.

Un’ingiustizia sofferta in primo luogo dai più vulnerabili, ma che coinvolge, quindi, in misura crescente fasce sempre più ampie di popolazione che per via delle loro condizioni non possono accedere e vivere in case dignitose, sicure, salubri ed economicamente sostenibili. Un’ingiustizia alimentata per di più, dalla carenza e cattiva qualità dei servizi essenziali disponibili (scuola, mobilità, salute). Si pone quindi l’attenzione sull’accesso ad un abitare funzionale e sostenibile, come diritto, ma anche come strumento di contrasto delle disuguaglianze e supporto a processi di crescita individuale e della società in senso lato.

La sofferenza abitativa presente nel nostro paese è manifestata dal gran numero di  sfratti per morosità che aumenta di anno in anno. Le città sono quelle che subiscono maggiormente l’impatto della questione abitativa irrisolta, e le Amministrazioni comunali, che sono le prime a dover rispondere alle pressanti richieste che vengono dai cittadini in difficoltà, sono quelle che si trovano nella situazione peggiore.

Questa acuta sofferenza abitativa è cresciuta non in assenza di costruzioni, ma malgrado si sia costruito, e molto. Il punto è che si costruisce per una domanda che non c’è, mentre invece rimane inevasa la domanda di case sociali, ossia unità immobiliari che vengono utilizzate ad uso residenziale in locazione permanente a salvaguardia della coesione e volte alla riduzione del disagio abitativo di famiglie svantaggiate, che, altrimenti, senza gli alloggi sociali, non potrebbero accedere alla locazione rivolgendosi agli alloggi che rientrano nel libero mercato. Case senza gente e gente senza casa.

Si rileva quindi necessario abbandonare l’idea dell’espansione, del consumo di suolo e della cementificazione concentrandosi su manutenzione, riqualificazione e recupero invece che sull’espansione delle aree urbane. Occorrono finanziamenti certi per l’edilizia residenziale pubblica, strumenti e poteri per le città di attaccare la rendita speculativa e parassitaria, a partire dal patrimonio che viene lasciato sfitto e inutilizzato e da un contrasto vero all’evasione e all’elusione fiscale. I Comuni a questo scopo dovrebbero promuovere campagne di informazione e assistenza legale gratuita rivolte in particolare agli studenti fuori sede accompagnate dall’incrocio delle utenze, attraverso queste azioni, il fenomeno del canone nero può essere agevolmente debellato.

Altra problematica è quella della gestione carente e collusa dell’assegnazione delle abitazioni, le cui principali vittime sono i nuclei familiari più deboli che avrebbero diritto a una casa popolare e ne sono stati di fatto esclusi. Ciò favorisce le occupazioni per necessità di immobili vuoti e lasciati al degrado ove spesso penetrano la criminalità e le mafie che di fatto gestiscono sempre più spesso l’edilizia residenziale pubblica; si promuova quindi una gestione trasparente e rigorosa, attraverso le graduatorie pubbliche (da aggiornare e rendere visibili e trasparenti) delle case popolari e l’assegnazione attraverso i Comuni degli alloggi degli Enti aventi forme di partecipazione o di controllo pubblici,  oltre che tolleranza zero verso la criminalità organizzata che penetra nel sistema delle case popolari e ne gestisce i racket e verso chi fa la compravendita delle case popolari.

A questo stato delle cose, dovere dei comuni, dovrebbe essere contrapporre il garantire a un nucleo familiare avente un reddito e/o una condizione (per composizione, malattia, fragilità) tale da avere diritto a una forma di sostegno pubblico, il non essere soggetto a sfratto senza la garanzia del passaggio da casa a casa. I requisiti sono i soliti: essere collocato utilmente nelle graduatorie per una casa popolare; avere un rapporto tra canone e reddito tale da rientrare nelle graduatorie per il cosiddetto Fondo Sociale; la presenza di anziani, malati gravi, minori nel nucleo familiare; rientrare nelle normative previste per la sussistenza della cosiddetta “morosità incolpevole”.  A tal fine, i Comuni potrebbero stipulare convenzioni con gli Enti pubblici e dotarsi di strumenti operativi specifici, come per esempio le Agenzie per gli Affitti.

Ci sono ancora oggi alcune decine di migliaia di case popolari vuote perché inagibili, nelle città ci sono inoltre migliaia di immobili pubblici e privati vuoti, spesso degradati, che potrebbero essere riutilizzati come residenza sociale. Si deve al proposito stabilire un tempo certo e breve per un censimento di questo patrimonio; un tempo specifico per i privati che imponga interventi di conservazione e recupero, pena la possibilità di requisizione; la formulazione di progetti di recupero e riuso per questi immobili.

Le Amministrazioni comunali potrebbero dotarsi di uno strumento quale la delibera per l’autorecupero dimodochè gli immobili vuoti e in disuso, potrebbero essere affidati  a cooperative di persone che avrebbero diritto a una casa popolare, migranti, studenti.

Per autorecupero si intende un processo edilizio che prevede l’affidamento dei lavori di ristrutturazione di un immobile agli stessi assegnatari che prestano la loro opera in cantiere mettendo a disposizione un monte ore lavorativo. In questo tipo di processi, quindi, sono generalmente coinvolte non solo le amministrazioni pubbliche, ma anche gli stessi occupanti (nel caso che il processo sia stato attivato a seguito di una occupazione abusiva) o i futuri assegnatari degli edifici (nel caso si sia proceduto con bando pubblico). Questi, riuniti in cooperative edilizie, presentano progetti esecutivi per i lavori di ristrutturazione edilizia, sulla base di progetti definitivi predisposti dall’Amministrazione comunale, talvolta privilegiando l'applicazione, anche sperimentale, di tecnologie compatibili con l'ambiente (architettura bioclimatica) e favorendo, in tal modo, oltre che la loro diffusione, anche la formazione di lavoratori specializzati nell'uso delle tecnologie stesse. La partecipazione ai lavori consente un abbattimento dei costi economici e la creazione di buoni rapporti tra i beneficiari.

Dal punto di vista dell’Amministrazione Pubblica, finalità dell’autorecupero è il riuso o, talvolta, la riconversione, a fini residenziali, di alcuni edifici di proprietà pubblica in stato di abbandono. In alcune situazioni questi processi vanno a ripristinare ambiti di legalità in stabili occupati a vario titolo, nei quali la situazione alloggiativa, di fatto costituitasi, crea gravi tensioni sociali ed un accentuato degrado ambientale. In quest’ottica i programmi di autorecupero a fini residenziali incrementano l'efficacia dell'investimento pubblico attraverso l'integrazione delle politiche urbanistiche con quelle sociali, residenziali ed economiche, per governare la complessità di tutti quei fattori che sono all'origine del degrado urbano.

Altra misura utile sarebbe l’accompagnamento verso l’housing sociale per i nuclei familiari che non hanno più il reddito per risiedere nelle case popolari, liberando così alloggi da destinare ai più poveri.

Si tratta di scelte impegnative ma non più rinviabili se si vogliono effettivamente perseguire obiettivi di giustizia sociale e riduzione delle disuguaglianze.

Roberto Merico

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