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Il nuovo (dis)ordine mondiale


Il nuovo (dis)ordine mondiale
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La vittoria di Trump nelle elezioni presidenziali del 5 novembre 2024 segna la fine dell’epoca della democrazia in Occidente, unico spazio dove abbia avuto esistenza.

Trump non avrà solo i poteri presidenziali ma il controllo di Senato e probabilmente anche della Camera. Quello della Corte Suprema lo ha già da anni, quando durante la sua prima presidenza ne ha snaturato il ruolo e facendone il cane da guardia di una parte politica, la sua. E su quella linea proseguirà, nello smantellamento di ciò che caratterizza una democrazia, il carattere limitato di ogni potere, la divisione e articolazione dei poteri, a tutela dei diritti delle minoranze e anzi di quella minoranza non più divisibile che è il singolo cittadino.

Nel frattempo, diventerà normalità la menzogna di potere a strame della verità di fatto, cangiante secondo necessità, la cui derisione e negazione Hannah Arendt oltre mezzo secolo fa, indicava come sintomo e strumento, di totalitarismo in fieri. Oggi negli Stati Uniti se cade un aereo è colpa del pilota nero e gay e dei disabili alla torre di controllo.

Si umilia e soffoca la stampa critica e si auspica la morte per i giornalisti non allineati, odio, volgarità, cinismo, spudoratezza, gli immigrati criminali cui dare la caccia, le donne carne da sesso se belle, al servizio dei mariti altrimenti, l’aborto sempre più perseguitato e Darwin sostituito da Genesi. Panama, Groenlandia, dazi, Messico, le deportazioni da Gaza e addio a ogni politica ambientalista.

Mezza Ucraina sarà sotto tallone di Putin, un deserto lo chiameranno pace e l’appetito neozarista che non si fermerà a Georgia e Moldavia, abbandonate dall’Occidente trumpizzato.

Scettico nei confronti delle istituzioni multilaterali,  vuole ridimensionare la proiezione estera degli Usa; ciononostante intende investire nelle Forze armate, anche allo scopo di aumentarne il numero di effettivi, vuole generali come quelli di Hitler, l’esercito come sua milizia “perinde ac cadaver”, le alleanze configurate come rapporti do ut des, uscire dalla Nato o indebolirla in modo significativo e lo storico sostegno a Israele rischia di genererare un’escalation e un ulteriore allargamento del conflitto.

Nella contesa tra grandi potenze i paesi europei non rientrano. Non soltanto isolazionismo: c’è l’idea che il mondo oggi sia troppo grande per gli Stati Uniti e quindi la necessità che sul piano militare gli alleati contribuiscano maggiormente alla sicurezza.

Un’enfasi significativa è posta sulla sicurezza interna, soprattutto lungo il confine meridionale.

L’economia andrà verso un maggiore protezionismo rendendola meno dipendente da catene di approvvigionamento sempre più fragili, riportandola più simile a quella basata sulla manifattura prima della globalizzazione.

La “Maganomics” combattiva di Trump danneggerà la crescita degli Stati Uniti essendo inflazionistica. Il piano tariffario prevede un aumento del 60% su nazioni come la Cina e del 10-20% sul resto del mondo.

Effetti indiretti negativi saranno la reazione dei mercati finanziari, il deterioramento del sentiment delle imprese, l’incertezza della politica commerciale sugli investimenti e le interruzioni della catena di approvvigionamento. L’aumento di 1 punto percentuale dell’aliquota tariffaria effettiva riduce il livello del PIL dello 0,03% attraverso gli effetti diretti e dello 0,1% attraverso gli effetti indiretti”.

Meloni si illude di salvare l’Italia dai dazi trumpiani, senza coinvolgere l’Ue sfruttando il suo ruolo di pontiere europeo con la tecnodestra, ma il prezzo economico che chiederà Washington, dalla difesa alle tariffe, è insostenibile per il nostro Paese. Non sarà possibile modulare i dazi ai prodotti europei senza ricadute dirette anche nel nostro sistema produttivo: come se l’industria tedesca dell’auto (una fissazione di Trump) non fosse interconnessa all’indotto d’eccellenza italiano: l’Europa deve invece parlare con una sola voce sul piano politico, economico e industriale, oltre su quello dei valori e dei diritti umani.

Prendiamo la questione decisiva della difesa. Si tratta di spendere di più in armi per garantirsi la propria sicurezza in maniera autonoma. L’Italia nel 2024 è ferma a una spesa pari all’1,5 per cento del suo Pil. Per centrare il due per cento, che era l’obiettivo precedente al secondo mandato di Trump, l’Italia dovrebbe trovare ulteriori undici miliardi di euro l’anno da destinare alla difesa. Ma per l’amico Trump il due per cento è poco: ha lanciato l’iperbolica percentuale del cinque per cento. Per l’Italia è impossibile, tenuto conto che già per il tre per cento servirebbero trentadue miliardi aggiuntivi. Per farvi fronte dovrà aggrapparsi all’Europa, strappare il patto di stabilità, pregare in ginocchio di fare gli eurobond, ballare da sola è un suicidio.

Stiamo precipitando in un mondo molto più instabile, tormentato da conflitti e guerre commerciali, con l’egemone globale (gli Stati Uniti) che fa un passo indietro rispetto al suo storico ruolo di garante della sicurezza e ci porta fin sulla soglia del mondo multipolare, ineluttabile futuro del sistema internazionale.

Un’accelerazione reazionaria che tiene insieme sia il futurismo dei tecnologi e dei loro finanzieri che puntano allo sviluppo industriale, alla deregulation e alla sburocratizzazione sia il popolo di Trump che richiede protezione dalla globalizzazione e dall’immigrazione e rifiuta la pedagogia progressista.

Smantellare pezzi dello Stato amministrativo, con la chiusura di numerose agenzie federali; aumentare le posizioni burocratiche soggette allo spoil-system invece che al merito; riformare il Dipartimento della Giustizia, percepito come troppo potente nei confronti della Presidenza; avversare le politiche green; l’ampio rimpatrio degli immigrati regolari, esprimono la democrazia populista che si accoppia con idee fortemente conservatrici e rappresenta la fine alla democrazia progressiva e liberale costruita da Franklin Delano Roosevelt fino a Joe Biden e rafforzata dal consenso sulle dinamiche della globalizzazione condivise da Democratici e Repubblicani fino al 2008.

A questo progetto si è unito un pezzo consistente dell’establishment americano. Non c’è soltanto Musk con il suo Dipartimento per migliorare l’efficienza del governo e la sua rete internazionale dei partiti di destra, ma un vasto mondo di capitalisti tecnologici e investitori la cui figura di riferimento è senza dubbio Peter Thiel, fondatore di PayPal e leggendario venture capitalist, con le sue idee tecno-libertarie ispirate da un intellettuale dell’alt-right come Curtis Yarvin. Ma non è soltanto il mondo tech a muoversi, poiché ci sono anche esponenti dell’ala nobile del capitalismo americano come il CEO di Blackstone Steve Schwarzman, il gestore di hedge fund Bill Ackman, il Presidente di JP Morgan Jamie Dimon. Mentre tra gli ultimi a salire sul carro sono stati altri due grandi titani della nostra epoca come Jeff Bezos e Mark Zuckerberg.

La punta di diamante è lui, Elon Musk, vuole diventare, per il suo paese, insieme ai suoi sodali dell’industria tecnologica, una nuova Compagnia delle Indie Orientali, la società privata di mercanti che ha permesso all’Impero britannico di controllare ed espandere i possedimenti coloniali e di sbarrare il passo alle rotte degli avversari per quasi due secoli.

Di qui il fiancheggiamento alle forze di destra radicale europea e l’interesse nelle regole e nei contratti governativi volendo allargare il mercato delle aziende tech americane sfruttando l’ascesa dei nuovi partiti nazional-populisti approfittando dell’arretratezza industriale e tecnologica, il nanismo militare e la modestia politica del vecchio continente. Egli considera l’Europa il ventre molle dell’alleanza atlantica e reputa necessario controllarne i nodi strategici delle infrastrutture e delle tecnologie che potrebbero finire ai cinesi.

A fronte del pericolo Trump la sinistra, nazionale e internazionale, deve avere a cuore la diminuzione delle diseguaglianze (ormai arrivate a mostruosità) altrimenti è destinata alla sconfitta. Se i poveri e i meno abbienti hanno votato per uno straricco, sostenuto da un mega miliardario, è perché i democratici non hanno progettato un nuovo welfare in versione neo-rooseveltiana.

 E la presunta ideologia woke, ossia la lotta per i diritti civili e ambientali, delle rivendicazioni femministe e della valorizzazione delle diversità, che la destra vuole cancellare, è invece indefettibile a una società democratica, libera, egualitaria e solidale timbro della sinistra italiana, europea e mondiale.

 In questa realtà dobbiamo agire per arrestare un processo storico ormai in atto, la fine della democrazia.

Roberto Merico

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I commenti degli utenti:

Corporis
Sarebbe interessante leggere nuove proposte anziché l’elenco di ciò che non mi piace. La politica dovrebbe tutelare l’interesse della “cosa” pubblica e invece assistiamo a dei dibattiti di tifoserie di modello “calcistico” .. FORZA mia squadra abbasso la squadra avversaria.. sono anni che si assiste ad azioni di tifoserie e non di interesse pubblico

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