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Casa di Carta: La sindrome di Stoccolma


Casa di Carta: La sindrome di Stoccolma
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La casa di Carta e i suoi retroscena

Ne hanno parlato in molti, ma quasi nessuno è riuscito a capire cosa c’è dietro “La casa di carta”, serie spagnola ideata da Alex Pina e trasmessa su Netfilx. Otto rapinatori, ognuno esperto di un crimine in particolare, ma tutti con una cosa in comune: soprannomi di città. Questi sono diretti da un grande cervello, “Il Professore”, uomo di mezz’età che decide di compiere la più grande rapina del mondo in seguito all’assassinio di suo padre che aveva rapinato una banca per pagare le cure del figlio malato; così questi nove “criminali” decidono di fare un colpo alla zecca di stato spagnola.

Tutto è programmato, ogni singolo particolare, ogni singolo orario, anche gli errori sono messi in considerazione, così come le trappole. Gli ostaggi che hanno in pugno sono spaventati ma cambiano radicalmente il loro atteggiamento dall’inizio alla fine della stagione. All’inizio sono terrorizzati, non riescono nemmeno a guardare i criminali negli occhi, ma con il passare del tempo riescono anche a sfidarli, ribellarsi, ucciderli e in un caso addirittura innamorarsi.

Proprio questa è la questione, innamorarsi, la Sindrome di Stoccolma. Cos’è questa sindrome? È una dipendenza psicologica e il soggetto che ne è affetto prova un forte sentimento d’amore nei confronti del proprio sequestratore, anche se ne è maltrattato, e questo di conseguenza porta a una sottomissione assolutamente volontaria dell’ostaggio. Ma cosa succede quando anche l’aggressore si innamora del proprio ostaggio? Avviene la più grande alleanza tra vittima e carnefice. Ma come ci fa notare “La casa di carta”, tutto questo parte inizialmente come frutto dell’istinto di sopravvivenza dell’ostaggio, per poi sfociare in veri e propri progetti di fuga e matrimonio. È quello che succede tra il rapinatore Denver e l’ostaggio Mónica Gaztambide (che successivamente prenderà appunto il nome di “Stoccolma”) a cui addirittura l’aggressore salva la vita, decidendo di spararle alla gamba, invece di ucciderla (come gli era stato ordinato). Forse ci vogliono far capire che l’amore è questo: avere armi per uccidere ma salvare la vita. 

La Sindrome di Stoccolma

Sarà un caso o a Monica è stato dato di proposito, dal regista, il soprannome di "Stoccolma"?

La Sindorome di Stoccolma è quel particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro o di un abuso ripetuto, i quali, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento.

Gli effetti a breve e lungo termine sono caratterizzati da una sintomatologia ansiosa, disturbi fisici e psicofisici e sintomi depressivi.

Le origini del termine

L’espressione fu usata per la prima volta da Conrad Hassel, agente speciale dell’FBI, in seguito ad un episodio avvenuto in Svezia nell’agosto del 1973: quattro impiegati di una banca di Stoccolma, tenuti in ostaggio da due rapinatori per sei giorni, una volta rilasciati, espressero sentimenti di solidarietà verso i sequestratori arrivando a testimoniare in loro favore, con manifestazioni di ostilità verso il mondo esterno (polizia, autorità, ecc.).

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I commenti degli utenti:

alesandri

La comparsa di tale sindrome dipendente dalla personalità del sequestrato: essa, infatti, insorge in personalità fragili, non ben strutturate, poco solide, mentre chi ha un carattere forte e dominante sarà meno predisposto a manifestarla.


Corporis

Adulare il proprio carnefice è come trovare un'area di comfort per proteggersi dalla disperazione!!

 




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