



Il sogno europeo affermato nella Piazza del Popolo di Roma il 15 marzo scorso ha sollevato una scia di discussioni e polemiche di varia natura. Gli argomenti che seguono tentano di mostrare come questo ingorgo di parole possa risultare fecondo per tutto il centrosinistra.
Inizio con un breve cenno alla reazione dei partiti di destra, i quali, sull’iniziativa Piazze per l’Europa, sono riusciti a produrre niente più di una critica sguaiata e densa di livore. Si tratta della tipica postura di chi, non avendo idee da spendere, si protegge aumentando il rumore di fondo: un nervosismo che evidenzia quanto indigesta sia per le destre la prospettiva di un’Europa più forte e coesa.
Ma veniamo ai partiti progressisti. Qui, come di consueto, il discorso si complica perché l’Europa è percepita in modo molto diverso dai partiti (e dagli elettori) che si collocano in quell’area politica. La diversità riguarda proprio il livello di identificazione con il progetto europeo ed è così significativa da rendere arduo ogni tentativo di raggiungere una qualche unità di intenti nella prospettiva comunitaria. Un dato eloquente: la fiducia che gli elettori dell’area progressista accordano all’Europa è molto difforme tra i partiti dell’area (secondo i dati CISE-Luiss, mentre il 51% degli italiani si dichiara fiducioso nell’UE, per gli elettori di PD, Italia Viva, Azione e +Europa il dato si colloca oltre il 60%, ma si ferma attorno al 40% per gli elettori di AVS e su valori ancora inferiori per gli elettori del Movimento 5 Stelle). Occorre precisare che il livello di fiducia nell’UE è molto variabile nel tempo, ma l’aspetto che qui interessa è la difformità del dato tra i partiti. Ebbene questa difformità di giudizio sull’Europa rimane molto significativa, al di là delle variazioni temporali.
I critici del 15 marzo, per depotenziarne il significato, sottolineano che in quel giorno, Piazza del Popolo ha ospitato mille idee diverse dell’Europa, tuttavia, penso che queste diversità si possano riconoscere nell’intenzione originaria dell’appello di Michele Serra: l’unità europea, con i suoi valori fondanti è l’orizzonte per il quale vogliamo impegnarci.
Quell’intenzione vive su due presupposti: la credibilità del progetto europeo e la necessità per i partiti progressisti di assumerlo come veicolo di affermazione dei loro valori. Purtroppo, è proprio sulla credibilità e sulla necessità del progetto che si gioca buona parte delle tormentate divisioni del campo progressista e la possibilità di costruire prospettive di giustizia per il futuro.
La credibilità del progetto europeo.
Anche come riscatto morale dalle sue responsabilità per le due devastanti guerre del secolo scorso e per l’indegno trascorso coloniale, l’Unione Europea fin dalla sua fondazione ha sempre perseguito un orientamento di pace. Se così non fosse, non si spiegherebbe il disarmo (in idee e pallottole) che oggi la scuote di fronte ai venti di guerra e al declino della Nato. E suonerebbe come ipocrita lo sconcerto di larga parte dello schieramento politico di sinistra per le recenti proposte di riarmo da parte della Presidente della Commissione.
Sul piano della credibilità, si può affermare che l’Europa ha realizzato valori democratici e sociali molto significativi, sicuramente migliori rispetto a quelli raggiunti in qualsiasi area del mondo industrializzato. È sufficiente guardare ai dati dell’ONU o della Banca Mondiale o dell’IPCC per capire come l’universalità dei diritti (salute, scuola, dignità del lavoro), la distribuzione della ricchezza (indice Gini) e la coerenza delle politiche ambientali siano una caratteristica distintiva dell’Europa.
È ovvio che non tutti questi risultati sono attribuibili alla sola istituzione europea (peraltro incompiuta), ma è evidente l’orientamento al benessere sociale adottato dalle politiche comunitarie: mutualità a favore degli stati più deboli (coesione), sussidiarietà dei finanziamenti, normativa sulla qualità del lavoro e sui diritti civili, etica del commercio negli scambi internazionali, supporto alle aree degradate, difesa della biodiversità, costituiscono un credito politico consistente per l’Europa. Troppi europei non si sono accorti di come queste intenzioni e le relative politiche abbiano cambiato (quasi sempre) in meglio la loro vita: l’efficacia della comunicazione comunitaria è stata sicuramente molto al di sotto della sufficienza.
In sintesi, con tutti gli innegabili limiti dovuti alla sua incompletezza, questa Europa ha (già) accumulato una sua credibilità nell’affermazione dei valori fondanti del Manifesto di Ventotene, un credito che non può giustificare l’estraneità dei progressisti verso la costruzione europea. La salutare critica politica verso le scelte europee di questi giorni, che si manifesta nella domanda “quale Europa?” non ci esime dal sentirci parte di quel processo di costruzione.
La necessità di assumere il progetto europeo
L’unità dell’Europa viene oggi invocata soprattutto in relazione alla nostra debolezza geopolitica e all’esigenza di avviare l’Unione verso una difesa comune. Sappiamo che i primi, affrettati passi in questa direzione hanno generato molte perplessità e critiche, tant’è che alcune misure, in particolare quella che destina buona parte degli 800 miliardi di euro allo scomputo dal patto di stabilità per spese in armamenti dei singoli stati, mostra già tutta la sua debolezza. Ma forse il danno maggiore è stato fatto dalla Presidente nella procedura (il mancato passaggio parlamentare) e nell’annuncio dell’iniziativa (la totale assenza di riferimenti ai valori dell’Unione, che non possono essere taciuti, soprattutto in una circostanza così densa di significati e così esposta al rischio di contraddizioni profonde).
Ma più in generale, perché possiamo affermare che l’adesione al progetto europeo è condizione necessaria per il centrosinistra? Principalmente perché le misure che la Commissione ha adottato nei decenni scorsi hanno offerto all’azione politica gli indirizzi, gli strumenti e la libertà d’azione indispensabili per sperimentare e consolidare nuovi modelli economici e sociali. E perché queste misure hanno introdotto prospettive di innovazione e di riscatto sociale che non erano alla portata delle nostre istituzioni.
Credo che le potenzialità scaturite dall’elaborazione comunitaria siano state sottovalutate a livello politico. È stata in particolare trascurata la valenza trasformativa delle misure, cioè la possibilità di cambiare i processi esistenti agendo a livello economico, sociale e ambientale per dare corpo a nuovi modelli di sviluppo e a nuove forme di lavoro.
La breve descrizione di alcune misure comunitarie può evidenziare come queste siano aperte ad interpretazioni anche radicali di orientamento progressista.
Community Led Local Development (Sviluppo locale guidato dalla comunità) piani di sviluppo sub-regionale per rafforzare la democrazia partecipativa gestiti per lo più con i cosiddetti Gruppi di Azione Locale e finanziati attraverso fondi europei per lo sviluppo regionale (un esempio di successo è il Progetto Interreg V Italia-Austria che sarà completato nel 2027).
Il supporto alle Comunità Energetiche in relazione agli obiettivi 2030 del Green Deal. Le Comunità Energetiche rappresentano un’occasione unica per lo sviluppo di nuova consapevolezza a livello locale e per la nascita di nuove forme di lavoro qualificato (un esempio è la recente iniziativa europea (5.6 B€) di sostegno all’Italia per lo sviluppo di comunità energetiche, parzialmente appoggiato al PNRR).
I piani pluriennali di ricerca e innovazione che hanno finanziato centri di ricerca, università e industrie innovative per consolidare ampliare la domanda di lavoro di qualità e la capacità competitiva dell’Europa (un esempio è il ruolo che questi piani hanno avuto nell’affermazione dell’Unione nel campo della comunicazione mobile, dove l’Europa ha giocato un ruolo trainante a livello tecnologico e normativo nel periodo tra il 1990 e il 2010).
Le iniziative comunitarie non hanno aperto nuove prospettive grazie ai finanziamenti ricevuti dai vari progetti di innovazione (ricordo che l’Italia è contributore attivo dell’UE) ma in ragione delle condizionalità imposte dall’Europa, tra le quali il vincolo di attivare soltanto progetti integrati tra gli Stati Membri e di estendere la partecipazione ad aree economicamente svantaggiate, l’obbligo di coinvolgere la Piccola-Media Industria e di perseguire obiettivi misurabili di beneficio sociale.
Se le Amministrazioni locali sono state piuttosto attive nell’acquisire (in collaborazione con l’Accademia e con l’Industria) progetti finanziati dall’Europa, va detto che spesso queste esperienze sono state vissute come circostanze occasionali o addirittura come pura opportunità di copertura economica di attività altrimenti non finanziate. Solo in pochi casi quella partecipazione ha portato all’interpretazione politica dei risultati e al consolidamento di nuove forme di lavoro, di formazione o di vita sociale. Anche a livello di comunicazione, l’enfasi sulla caratteristica comunitaria dei progetti e sulle potenziali ricadute sul territorio è stata spesso trascurata.
Concludo aggiungendo una motivazione più generale per aderire al progetto europeo secondo i valori che ispirano il campo progressista. L’impegno per l’Europa è un’arma formidabile per arginare la destra emergente perché punta ad un obiettivo di integrazione sovranazionale radicalmente osteggiato dai sovranisti e lo fa tracciando una demarcazione chiara, basata su valori concreti e verificabili.
Giovanni Colombo
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