Con il termine DCA indichiamo i disturbi del comportamento alimentare che riguardano alterazioni delle abitudini alimentari e la forte preoccupazione per il peso corporeo, in particolare per l’aumento della massa grassa. Essi insorgono generalmente durante l’adolescenza e si manifestano prevalentemente nelle femmine di età compresa tra i 18 e i 20 anni con una prevalenza, come dimostra uno studio americano, tra lo 0.9/1,5 e il 3,5%.
All’interno del Manuale Diagnostico e Statistico del Disturbi Mentali (DSM 5) tra i DCA troviamo:
- la pica (consumo di sostanze non commestibili),
- il disturbo da ruminazione (il continuo rigurgito delle sostanze ingerite),
- disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo,
- l’anoressia nervosa,
- la bulimia nervosa,
- il disturbo da alimentazione incontrollata (DAI).
In tutti i disturbi del comportamento alimentare è presente un rapporto non sano con il cibo ma va sottolineato anche un altro aspetto fondamentale che accomuna chi si ritrova a vivere con questo tipo di diagnosi: un’alterazione della propria percezione corporea. Le persone affette da DCA, infatti, sono spinti da un cattivo rapporto con il proprio corpo che nella maggior parte dei casi, come hanno evidenziato alcuni studi, vedono di dimensioni più grandi rispetto alla realtà e rispetto alla percezione di chi guarda dall’esterno.
I media e la società possono influenzare la comparsa dei DCA e l’alterazione della propria immagine corporea?
L’insoddisfazione per le caratteristiche del proprio corpo è un tema molto diffuso in una società che, con input quotidiani, influenza la cultura moderna sui canoni di bellezza a volte impossibili da raggiungere. L’avvento dei social media, inoltre, ha fatto sì che ognuno potesse mostrare il proprio profilo come una vetrina da esibire, in cui tutto è costruito sulla modernità delle immagini e sulla ricerca della perfezione socialmente accettata.
Tutto ciò ha generato una smodata attenzione a ciò che viene pubblicato influenzando ciò che ognuno sceglie di far vedere al mondo esterno. È chiaro, dunque, che in soggetti già inclini all’insoddisfazione corporea, il non raggiungimento dei canoni esibiti dalla maggioranza ha provocato un ulteriore abbassamento dell’autostima, sentimenti di sconforto, di disagio e una svalutazione della propria persona con possibili conseguenze precipitanti verso una diagnosi di DCA. In questi casi, infatti, l’alimentazione assume caratteristiche disordinate, caotiche, ossessive e ritualistiche, tali da compromettere la possibilità di consumare un normale pasto; nello stesso tempo le preoccupazioni per l’aspetto fisico diventano insostenibili e pervasive, tanto da minare la socialità della persona che ne soffre.
C’è da precisare, inoltre, che l’uso dei social media risulta essere maggiore tra gli adolescenti che già di per sé vivono una fase evolutiva di vulnerabilità, di incertezza, di definizione della propria personalità, di confronto costante e di identificazione con il gruppo dei pari. L’adolescente che fa uso dei social media, si trova a dover affrontare una realtà distorta fatta di esibizione ed inizia a sperimentare fin da subito i primi sentimenti di frustrazione, attenzione ed insoddisfazione verso il proprio corpo.
Una ricerca condotta da Becker, Gilman e Burwell del 2005 sulle abitanti delle isole Fiji, ha dimostrato come l’arrivo dei mass media e della “nuova” società abbia determinato un’incidenza maggiore dei disturbi del comportamento alimentare in una popolazione che precedentemente non aveva manifestato alcun caso. Le ragazze, infatti, erano state esposte a programmi televisivi occidentali e dopo solo un anno avevano esplicitato il desiderio di modificare e rimodellare il proprio corpo.
Tali evidenze vanno ricondotte alle caratteristiche peculiari dei social network: immediatezza, interattività, partecipazione attiva tra una vasta cerchia di connessione e facile disponibilità di utilizzo su dispositivi come smartphone o tablet ormai largamente diffusi in tutte le famiglie. I social più utilizzati sono Facebook, Instagram, Twitter e Pinterest (Duggan & Smith del 2014) su cui le persone, e in particolar modo gli adolescenti, passano in media 2 ore e 30 minuti al giorno. Secondo il modello socioculturale di Stice (1994), inoltre, i media, i coetanei e la famiglia sono i veicoli importanti attraverso i quali i messaggi sul peso e sull’aspetto fisico vengono trasmessi ai membri della società. Secondo il modello, infatti, i disturbi dell’alimentazione sono il risultato di una pressione sociale pervasiva che spinge all’essere magri e a perdere peso, per le donne, e ad essere muscolosi e mesomorfi per gli uomini.
I Social media, dunque, diventano potenti trasmettitori di messaggi che, se interpretati scorrettamente, possono sostenere gli ideali di bellezza ed incoraggiare l’insoddisfazione per l’imperfezione del proprio corpo. Essi hanno rappresentato sicuramente un punto di svolta nella vita dell’individuo e delle sue possibilità quotidiane di ricerca di informazione, ma il loro uso va limitato ed elaborato se, in particolare, parliamo di adolescenti. I giovani, infatti, possono cedere ad un uso eccessivo e distorto non riuscendo a discernere un mondo fittizio e stereotipato dal mondo reale e costruendo la propria identità su sentimenti angosciosi per la propria immagine fino ad influenzare concretamente le loro pratiche alimentari.
Oggi la comunità scientifica è concorde nel confermare una concomitanza di fattori che possono variamente interagire tra loro per favorire la comparsa e il perpetuarsi dei disturbi del comportamento alimentare, ed è tale la ragione per cui la prevenzione andrebbe incrementata tra i più giovani e non solo. Si tratta di patologie articolate, determinate dalla stretta connessione tra aspetti biologici, psicologici, relazionali e culturali dell’individuo; patologie di lunga durata che, se non trattate adeguatamente, tendono ad avere un andamento cronico con frequenti ricadute.
I DCA necessitano, infatti, di un trattamento integrato multidisciplinare che coinvolge professionisti di diversa estrazione per evitare un’evoluzione verso la cronicità, l’invalidità e persino la morte.
Fonte: istitutopsicoterapie
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