Ecco perché succede di sentirsi legati a un personaggio della TV, al protagonista di una serie o di un libro
A volte ci sembra di aver preso il treno con Harry Potter, ci ricordiamo così distintamente il binario 9 e ¾ da credere veramente di esserci stati. E poi abbiamo pianto la morte di Derek Shepard come se quel lutto avesse toccato la nostra migliore amica: ovvio, Meredith è una di famiglia. E Anna Karenina quante ce ne ha fatte passare? Non ne parliamo proprio, ecco.
Insomma, succede che i personaggi di fantasia diventino così importanti nel nostro immaginario da trasformarsi in pietre di paragone nella nostra vita reale, in compagni di avventure, amici che conosciamo profondamente. Ma la domanda è: com’è che succede?
Gli psicologi Donald Horton e Richard Wohl hanno coniato il termine «relazione parasociale» nel 1956 per descrivere questo senso unilaterale di connessione tra una persona e un personaggio di fantasia, hanno parlato di una sensazione di «intimità a distanza» che si accresce nel tempo, man mano che il personaggio prende vita nella quotidianità.
Da quando questo termine è stato introdotto, i ricercatori non hanno mai smesso di studiare il fenomeno e hanno spiegato che questi legami sono sorretti da due parti: da un lato l’empatia, il fatto che ci immaginiamo nei panni dell’altro e nelle situazioni che vive e, dall’altro lato, l’esplorazione della nostra vita e della nostra identità sulla base degli elementi in comune tra la vita del personaggio e la nostra – per i ricordi che una certa situazione può riportare in superficie.
Siamo in grado sia di essere noi stessi che di diventare Bridget Jones o Arya Stark de Il Trono di Spade: attori o spettatori, in ogni caso partecipi.
Ovviamente questi rapporti parasociali possono anche diventare patologici, surrogati di rapporti veri e quindi sostitutivi della realtà, come racconta uno studio dell’Università di Haifa sugli effetti delle «rotture parasociali»: la gente si aspetta di sentirsi sconvolta al finire di una serie TV o davanti alla sparizione di un personaggio come se stesse accadendo nella vita reale – e, infatti, è nato da qualche anno il fenomeno delle fanfiction, ovvero opere scritte dai fan per portare avanti le storie che si sono concluse.
Insomma, è normale sentirsi legati a personaggi di finzione?
Sì, se si riesce a non cadere negli aspetti malati e morbosi della malattia, se si riesce a far sì che un film, un libro o un personaggio famoso siano un momento di riflessione e di accrescimento, un legame emotivo che aiuta a sviluppare la nostra gamma emotiva, è del tutto normale: siamo noi che, misurandoci con la narrazione delle storie, proviamo noi stessi e la nostra empatia verso gli altri.
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