



Non è un atto di volontà.
Non basta dirsi “Mi fido” per sentirsi davvero al sicuro.
La fiducia è una memoria antica del corpo.
Si forma – o si incrina – nelle nostre primissime esperienze di contatto, relazione, accoglienza.
Se qualcuno è stato capace di stare con il nostro pianto, di contenerci senza giudicarci,
impariamo che affidarci è possibile. Che il dolore non va nascosto. Che non siamo soli.
Ma se da piccoli abbiamo imparato a trattenerci, a farci forti, a non disturbare, a non creare negli altri dolore…
la fiducia può diventare un territorio fragile e minato.
Il corpo si irrigidisce, il respiro si accorcia, la mente si affatica nel controllo.
Questo accade soprattutto quando le nostre prime relazioni di accudimento non sono state sufficientemente sicure o sintonizzate. Quando il dolore emotivo è stato ignorato, minimizzato, svalutato, non accolto o non capito.
In quei casi, il corpo impara che sentire fa male. Che dal dolore si deve scappare o ci si deve difendere. Che esprimersi è rischioso. Che chiedere è inutile.
Così si sviluppa una forma sottile – ma profonda – di sfiducia verso la vita e verso sé stessi. Ma soprattutto non si impara ad occogliere il dolore, a viverlo sapendo che passerà.
Non perché siamo deboli, ma perché nessuno ha saputo restare davvero con noi nel momento del bisogno.
Approcci contemporanei come la bioenergetica (Lowen) e la teoria polivagale (Porges) confermano che è nel corpo – nei tessuti, nel tono muscolare, nel ritmo del respiro – che si imprimono queste esperienze precoci. E che è proprio dal corpo che può iniziare la trasformazione.
Nel lavoro di counseling somatorelazionale, questo si incontra spesso:
corpi che si irrigidiscono non appena provano a lasciarsi andare.
Cuori che desiderano fidarsi, ma la testa dice no perché non si fida del cuore… oppure perché non sanno come fare.
Respiri trattenuti nella paura… che aspettano solo uno spazio sicuro per poter fluire.
Fidarsi non è dimenticare il dolore, ma imparare ad accoglierlo nel corpo,
senza più doverlo combattere o nascondere. Senza averne paura
È da lì che inizia la trasformazione:
Quando il corpo sente che può stare.
Quando il dolore viene ascoltato, non giudicato.
Quando la relazione diventa uno spazio in cui è possibile essere interi, anche nelle crepe.
La fiducia non si impone.
Si coltiva. Si ascolta. Si respira.
E tu? Come si è formata/o – o trasformata/o – la tua fiducia nella vita?
C’è stato un momento in cui hai sentito di poter contare su qualcuno, o su te stesso/a, in modo nuovo?
Se ti va, raccontalo nei commenti.
E se pensi che queste parole possano essere utili a qualcuno che conosci, condividi questo articolo.
Perché la fiducia cresce anche quando si riconosce in uno sguardo, o in una frase che arriva al momento giusto.
Ornella Sari
Naturopata e Counselor Bioenergetico a Milano
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